E’ stato dibattuto in questi giorni il ruolo delle elites nella storia politica italiana. Sappiamo che Draghi proviene da una tradizione di servizio all’interesse nazionale tra le più severe e prestigiose, quella della Banca d’Italia. Da Stringher a Einaudi, da Menichella a Ciampi. Via Nazionale come fucina di classe dirigente nel senso migliore del termine. A tale riguardo, si è parlato di un possibile confronto con il governo Ciampi, primo presidente del Consiglio “tecnico” nella storia repubblicana. In quell’esecutivo (l’ultimo della Prima Repubblica) figurava un personale politico di prim’ordine. Giuristi come Sabino Cassese e Leopoldo Elia, economisti come Beniamino Andreatta e Luigi Spaventa, intellettuali come Alberto Ronchey e Valdo Spini. In quella fase era stato anche proposto, come possibile ambasciatore negli Stati Uniti, il nome dell’Avvocato Gianni Agnelli. Questo perché la maggior preoccupazione delle cancellerie internazionali era che il Dipartimento di Stato Usa avrebbe abbandonato il sistema politico italiano al proprio destino. Forse tra qualche tempo gli storici inizieranno a raccontare gli scopi dei viaggi a Washington di alcuni magistrati della procura di Milano, nel periodo precedente lo scoppio dell’inchiesta “Mani Pulite”. 

In ogni caso, l’Italia del secondo dopoguerra ha dimostrato di avere elites importanti in tutti i settori, da Enrico Mattei a Raffaele Mattioli, da Adriano Olivetti a Norberto Bobbio. Naturalmente ciò non è stato ininfluente nel successo di quei decenni, nella modernizzazione – industriale e civile – di un Paese uscito in macerie dalla guerra. Lo sviluppo economico si è sempre accompagnato alla capacità di cogliere e interpretare l’interesse generale, di mettere le proprie capacità al servizio della nazione, di unire la “comunità di destino” intorno a progetti comuni e condivisi.

Ciò ha funzionato, in modo abbastanza efficace, fino alla fine della cosiddetta “Repubblica dei partiti” (come la chiamava Pietro Scoppola) e all’avvento dei partiti personali. Le cui conseguenze nefaste sono evidenti anche nella cronaca di questi giorni.

Al termine del “secondo giro” di consultazioni a Montecitorio, il leader del M5S Beppe Grillo si è espresso pubblicamente nei confronti del Premier incaricato come avrebbe fatto il geometra Calboni, un classico spaccone che ostenta conoscenze importanti, superiorità nei confronti dei colleghi e ruffianeria verso i potenti. Nel primo film di Fantozzi (diretto da Luciano Salce) il geometra saluta amabilmente quelli che incontra, ricchi signori seduti ai tavolini di un bar très chic di Cortina, tutti palesemente sconosciuti. “Calboni sparava balle così mostruose che a quota 1.600 metri Fantozzi fu colto da allucinazioni competitive” recita la voce narrante, tratta dal genio di Paolo Villaggio. 

L’ex comico genovese (Grillo) non è stato da meno: “Draghi mi ha chiamato l’Elevato e io non so come chiamarlo, lo chiamo Supremo. Ha anche senso dell’umorismo. Belin, non pensavo”. 

A rileggere Il Fatto quotidiano, era stato profetico Luigi Di Maio quando raccontava agli amici che l’ex governatore della Bce gli aveva fatto “una buona impressione”…