Inizio anno con una variazione imperiosa. Non avrei mai immaginato, viste le caratteristiche dell’uomo, che Nicola Zingaretti lanciasse l’idea che oggi campeggia su un quotidiano nazionale.

Il Pd ammaina la propria bandiera, archivia il proprio nome e il proprio cognome, tutto passa ai registri di storia recente e annunzia un nuovo congresso, un nuovo simbolo e un nuovo nome.

E, tanto per capirci, non dice che si farà a fine anno o chissà quando, no, precisa che si farà subito dopo le elezioni regionali della Calabria e della Emilia Romagna.

Ditemi voi se questa non è una grande novità nel panorama politico nazionale. Forse, azzardo a dire che è la novità più importante di questi ultimi dieci anni.

Non credo sia un fulmine a ciel sereno espresso dal Segretario, immagino si tratti di una decisone collegiale, magari coltivata dopo la fuoriuscita di Matteo Renzi e, soprattutto, in conseguenza dei magri risultati ottenuti dal Partito Democratico nelle ultime chermes elettorali.

Da quanto si dice, quel simbolo, sembrava ormai essere persino un ingombro. Lo stesso candidato alla Presidenza dell’Emilia Romagna, in più riprese, aveva fato capire che non illuminasse granché il suo campo di battaglia. In aggiunta, bisogna sottolineare, che il fenomeno delle sardine avrà senz’altro accelerato questa comunque inattesa decisione.

Il Pd da molto tempo, pur essendo un partito votato a portare le persone in piazza – classica tradizione del popolo di centro sinistra – non riusciva più a colmare questa esigenza. Infatti, non ricordiamo l’ultimo evento in cui il Pd abbia inteso utilizzare uno spazio esterno per presentarsi al popolo italiano.

Anche durante la festa del suo quotidiano, da qualche anno ormai scomparso, si è ridotta ad essere recintata in uno spazio chiuso e quasi angusto.

Non sarà certo per recuperare i pochi transfughi della prima scissione. Non è sulla scorta del desiderio di riacciuffare Bersani, D’Alema ed Epifani, che Zingaretti apre a questa novità. Però, in questi tempi magri, anche le virgole servono per costruire un romanzo.

Il riordino del campo del centro sinistra, obbligherà tutte le forze politiche a tenere debitamente in considerazione che modello sortirà da quel congresso. Anche perché, di fronte a un depauperamento delle classiche idee politiche e delle vecchie modalità ideologiche, sarà piuttosto interessante capire cosa mai capiterà da quel evento. Nulla è scontato.

Potrebbero rincorrere vecchi modelli, non possiamo escludere che si avventurino a tracciare assolute novità e, non ultimo, individuare strane alchimie per intrecciare forme tra loro magari persino antitetiche. Un bel problema.

Si capisce che se dovessero spingere la prua su versanti marcatamente di sinistra, aprirebbero nuovi spazi al centro, e, comunque, i due partiti di destra che oggi vanno per la maggiore, la Lega e Fratelli d’Italia, non potranno non risagomare se stessi, proprio dalla novità che sorgerà nella sponda opposta.

In questo terremoto, bisogna capire che cosa succederà pure nella tormentata condizione vissuta profondamente, proprio in questo periodo, dal Movimento 5Stelle.

Nessuna stanchezza immaginativa, in questo nuovo 2020. C’è pane per tutti i denti. Ne vedremo delle belle. Siamo pertanto lungo la linea che caratterizza ardentemente l’attualità: dateci costantemente novità, solo e soltanto novità, perché lo spirito è ormai abituato a cibarsi solo di forme nuove.

Intanto, prima che accada quel che abbiamo detto, dobbiamo vedere che cosa capiterà il 26 gennaio. Perché forse potrebbe essere intesa, quella data, come la linea Maginot che la storia ricorda.