Nei giorni scorsi la Procura di Roma sembra aver impresso un’accelerazione all’inchiesta sul barbaro assassinio in Egitto del giovane ricercatore italiano, Giulio Regeni.

Una triste e complessa vicenda che dopo circa cinque anni dall’accaduto non ha ancora avuto una verità giudiziaria. Molti sono stati gli impedimenti, le complicazioni, le mancate collaborazioni tra Istituzioni giudiziarie di Italia ed Egitto, che hanno condizionato questi lunghi anni dell’inchiesta. A queste difficoltà si sono aggiunte le implicazioni geopolitiche, specifiche dell’area del Mediterraneo Medio Orientale, che negli ultimi 10 anni, ha visto crescere la sua attrattività strategica, in particolare dal punto di vista energetico.

Ricostruiamo in sintesi gli accadimenti. Di Giulio Regeni, in Egitto su incarico dell’Università di Cambridge per svolgere una ricerca sui movimenti sindacali di opposizione al governo di Al Sisi, si perdono le tracce il 25 gennaio 2016; il suo corpo, con evidenti segni di tortura, sarà ritrovato il 3 febbraio successivo, ai bordi della Desert Road, alla estrema periferia de Il Cairo.

In quei giorni era presente in Egitto una delegazione italiana, guidata dall’allora ministra dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, per definire una serie di accordi commerciali ed industriali, tra i quali, il più significativo in termini di sviluppo economico e di posizionamento strategico nell’area, e cioè il completamento dell’iter autorizzativo per lo sfruttamento del giacimento super-giant di gas naturale, Zohr, avvenuta formalmente poi il 21 febbraio 2016.

Zohr, individuato nell’agosto 2015 nel blocco off-shore Shouruk, grazie alle intuizioni professionali e alle competenze di altissimo profilo del Gruppo ENI, rappresenta la più importante localizzazione di gas nel Mar Mediterraneo di sempre; una potenzialità di 850 miliardi di metri cubi, in grado di soddisfare l’intero fabbisogno egiziano e una fonte integrativa di particolare importanza per l’approvvigionamento di gas naturale per i mercati europei. In quell’area marittima da tempo si erano concentrati gli interessi e le ricerche (senza successo) di diverse Oil Company internazionali, in particolare della Shell (capitale anglo-olandese) e della British Petroleum. L’Ambasciatore UK in Egitto di allora, John Casson, dichiarò che quest’ultima aveva investito 13 miliardi di sterline in Egitto per trasformare il Paese in una grande potenza energetica.

Un successo tutto italiano, che consolidava un rapporto con l’Egitto, dove dal 1954 ENI opera ininterrottamente, attraverso quella rete di relazioni positive con il mondo arabo, tessuta inizialmente da Enrico Mattei e continuata anche dopo la sua scomparsa.

Con il ritiro dell’Ambasciatore Massari nell’aprile 2016, reazione italiana alle difficoltà riscontrate nelle indagini per l’individuazione dei responsabili dell’assassinio del nostro connazionale, i rapporti subirono un brusco rallentamento. Questo stato di raffreddamento diplomatico si interruppe formalmente nel settembre 2017, con l’insediamento del nuovo Ambasciatore Cantini, personalità di grande esperienza e competenza, già indicato nel maggio 2016 in sostituzione del predecessore, ma senza essere inviato ufficialmente, proprio per le difficoltà derivanti dall’assenza di collaborazione tra le magistrature per il caso Regeni.

Nel gennaio 2018 a due anni dal tragico evento e in occasione dell’avvio delle produzioni di Zohr, il Presidente egiziano Al Sisi, alla presenza dell’AD di ENI, Claudio Descalzi, dichiarò “Non smetteremo di cercare i criminali che hanno fatto questo”, e ancora “Alla famiglia di Regeni presento ancora una volta le condoglianze del popolo egiziano e prometto che non abbandoneremo questo caso fino a quando non si troveranno i veri criminali e verranno assicurati alla giustizia in Egitto” ed infine (parte del discorso più emblematica da punto di vista geopolitico) “l’assassinio è stato commesso per rovinare i rapporti con l’Italia” e “per danneggiare l’Egitto” e, rivolto a Descalzi, “Sa perché volevano danneggiare le relazioni fra Egitto ed Italia? Affinché non arrivassimo qui”.

Riferimenti espliciti ad una macchinazione volta ad impedire un’operazione fondamentale in uno spazio, quello del Mediterraneo orientale, che ad oggi è caratterizzato dalla presenza di ingenti giacimenti di gas naturale, combustibile essenziale nella fase di transizione verso l’autonomia energetica da Fonti di Energia Rinnovabile. Un’ area perimetrata tra le acque territoriali di Egitto, Israele, Libano, Cipro, Libia e dove si concentrano le attenzioni delle maggiori potenze internazionali.

Nel novembre 2016, ENI cedette il 10% a British Petroleum della concessione di Zohr; successivamente ad ottobre 2017 un altro 30% alla società russa Rosneft ed infine nel giugno 2018 il 10% alla compagnia petrolifera emiratina Mubadala Petroleum.

Non è possibile esprimere giudizi o ipotizzare certezze per individuare i responsabili di questo delitto e i loro possibili mandanti. Molte sono le teorie o le implicazioni che si sono intrecciate nel cercare di comprendere il movente; una cosa è certa, troppi impedimenti hanno caratterizzato il tentativo di indagare da parte dei nostri inquirenti titolari dell’inchiesta: dai depistaggi di una parte delle forze di polizia e di sicurezza egiziane alle indecisioni della magistratura de Il Cairo; dal ruolo di Mohamed Abdallah, leader del sindacato egiziano degli ambulanti, con il quale Regeni cercò il contatto per gli approfondimenti sulla condizione delle libertà sindacali, alla posizione della tutor dell’Università di Cambridge,  Maha Abdelrahman, che, si dice, fosse vicina alla Fratellanza Mussulmana, principale movimento di opposizione ad Al Sisi. Anche gli arresti e le iniziative portate a termine dalle forze dell’ordine egiziane non sono mai state efficaci e non sono giunte ad una soluzione di questa drammatica vicenda.

E poi: chi segnalò la presenza di Regeni al Cairo, vista l’organizzata sorveglianza a cui venne sottoposto? Chi aveva interesse a far rompere i rapporti tra Italia ed Egitto?

Rimangono aperti molti misteri che impediscono di far luce su un brutale assassinio, che ha lasciato una ferita profonda nella nostra opinione pubblica e che impedisce ad una famiglia, almeno la consolazione di una sentenza sui colpevoli.

Le risposte potrebbero essere contenute nella lettura dei fatti di politica internazionale, degli equilibri geopolitici nell’area mediterranea orientale o del controllo delle ingenti riserve metanifere.

La speranza è che prevalga una collaborazione fattiva tra Istituzioni e che si possa arrivare ad una conclusione positiva oltre le comprensibili ragioni di Stato.