Fonte Agensir

“L’attuale insignificanza dei cattolici in politica è il sintomo di un avvenuto scollamento della vita di fede del credente dalla percezione delle sue responsabilità politiche”. Lo scrive il teologo Severino Dianich nel numero di luglio di Vita pastorale, anticipato al Sir. “Non pochi cattolici, nella valutazione della situazione presente, sembrano poco preoccupati di confrontare il proprio giudizio politico con l’insegnamento del Vangelo – aggiunge -. Appena lo si fa, risulta molto arduo poter simpatizzare con l’attuale impressionante revival del ‘nazionalismo’ e le sue politiche sulle migrazioni”.

Dianich pone in evidenza l’opportunità di “giudicare se sia un’operazione compatibile con il Vangelo sostituire il ‘Prima di tutto noi’ al ‘Prima i poveri’, l’orgoglio nazionale alla fraternità universale, la difesa del proprio benessere alla solidarietà, la chiusura dei confini all’accoglienza dei poveri, il ‘Basta stranieri in casa nostra’ all’’Ero straniero e mi avete accolto’ di Matteo 25,35”. Consapevole che “l’applicazione degli imperativi evangelici in politica sia un’operazione complessa”, il teologo osserva che “il cristiano, qualunque sia la sua scelta, dovrà avanzare all’interno del suo schieramento le esigenze della fede”. Soffermandosi sullo “scollamento tra la coscienza di fede e le scelte politiche”, Dianich l’attribuisce al fatto che “nella vita delle comunità è prevalso un atteggiamento di disimpegno”.

“Le migliori energie sociali dei cattolici si sono incanalate nel volontariato, disertando il campo della politica. Invece di favorire il dialogo tra i diversi orientamenti sui problemi emergenti, chiamando tutti a confrontarsi con il Vangelo, s’è preferito, per evitare spaccature nelle comunità, silenziare le questioni politiche”.