D’Alema nel Pd? È cosa buona e giusta…dice Merlo.

 

Che il leader storico della sinistra italiana ritorni nel più grande partito della sinistra italiana è scontato; che un leader della sinistra chieda al suo campo di unirsi in una sola grande famiglia di sinistra è altrettanto scontato; e, infine, che un leader di sinistra non ami granchè chi, all’interno di quella famiglia, declini anche una “politica di centro” non è affatto blasfemo o calunnioso. Tocca a a coloro che si pongono l’obiettivo di ricostruire un “partito di centro” gettare le fondamenta per un’altra casa politica.

 

Giorgio Merlo

 

Non capisco, francamente, la gazzarra che si è aperta nel Partito democratico dopo la volontà del principale leader storico della sinistra italiana, cioè Massimo D’Alema, di rientrare prossimamente nel partito che aveva contribuito a fondare e poi abbandonato nel recente passato per dare vita alla piccola esperienza di Liberi e Uguali. Certo, il linguaggio di D’Alema è sempre colorito e sferzante ma, al di là di questi dettagli, è indubbio che le sue recenti dichiarazioni fanno discutere. E questo per due semplici ragioni, direi persin banali.

 

Innanzitutto D’Alema è un leader politico. Sì, forse è anche un capo come si chiamano oggi i politici, ma è anche e soprattuto un vero leader politico. Merce abbastanza rara nell’attuale panorama politico italiano. È di tutta evidenza che quando i leader parlano cerano dibattito e confronto e anche scontro. Sono, cioè, divisivi. E D’Alema, su questo versante, è quasi un campione assoluto. Ossia, le sue dichiarazioni non passano quasi mai inosservate perchè non sono ascrivibili alle regole della comunicazione dell’attuale crisi politica. Cioè non si possono ridurre ad un banale tweet o ad un insignificante post su FB. No, sono di norma riflessioni – condivisibili o meno che siano – che richiedono inesorabilmente riflessioni, approfondimenti e ovviamente repliche. Anche piccate. Come è puntualmente avvenuto anche questa volta. E come da copione. Il resto sono solo chiacchiere inutili.

 

La seconda riflessione non è di metodo ma di merito. D’Alema ha detto, in sostanza, che si deve ricostruire una grande forza di sinistra, progressista e di governo. Dopo la parentesi di Renzi e il tentativo, a suo modo di vedere, di dare una sterzata moderata e centrista al Partito democratico. E quindi, di conseguenza, destinato a mutare il profilo di sinistra e progressista di quel partito.

 

Verrebbe da chiedersi, al riguardo, ma dove consiste la novità? Ma da quando il Partito democratico non vuol più essere un partito di sinistra e progressista nello scenario politico italiano? C’è qualcuno, per caso, che mette in discussione – al di là delle insignificanti riflessioni sul metodo e sulle variabili linguistiche – nel Partito Democratico che quel soggetto politico non può più definirsi il grande “campo della sinistra italiana”? È del tutto scontato, quindi, che Articolo 1 confluisca nel Partito democratico. E chi si stupisce o è un ipocrita o è un ingenuo. Delle due l’una, non si scappa da questa tenaglia.

Semmai, se vogliamo dirci la verità sino in fondo, c’è un elemento che imbarazza l’eventuale e potenziale ritorno di Massimo D’Alema tra le fila del Partito democratico. E questo elemento ha un solo problema: la leadership politica che D’Alema ancora conserva intatta. Certo, brutto carattere, il che poi non è affatto vero; l’essere forse divisivo, come tutti i veri leader politici; la capacità di non ridurre la politica a sola bega personale; e, in ultimo, il timore, forse, che ritorni un confronto politico di qualità che esce dall’ordinaria amministrazione e dalla pura gestione dell’esistente.

 

Ecco perchè, in conclusione, si tratta di un dibattito e di una polemica abbastanza curiosa nonchè singolare. Che il leader storico della sinistra italiana ritorni nel più grande partito della sinistra italiana è scontato; che un leader della sinistra chieda al suo campo di unirsi in una sola grande famiglia di sinistra è altrettanto scontato; e, infine, che un leader di sinistra non ami granchè chi, all’interno di quella famiglia, declini anche una “politica di centro” non lo trovo affatto blasfemo o calunnioso. Ma, al contrario, del tutto normale e scontato.

 

Invece, tocca a tutti coloro che si pongono l’obiettivo di ricostruire un “partito di centro”, democratico e riformista, e che sappia declinare una vera ed autentica “politica di centro” gettare le fondamenta per un’altra casa politica, culturale e programmatica. Come, del testo, molti di noi stanno già facendo.