De Benedetti contro Fioroni non è radicalità ma eradicazione politica.

Non bisogna lacerare il tessuto morale di una nazione che l’ultimo De Gasperi, a riepilogo della sua lunga battaglia per la rinascita dell’Italia, voleva libera dalla dialettica nefasta tra guelfi e ghibellini.

Lucio D’Ubaldo

 

Nel suo pamphlet si mette a nudo, distilla pessimismo ma non dispera, celebra ad alta voce l’amore per il futuro. A leggere “Radicalità. Il cambiamento che serve all’Italia” si arriva a capire il personaggio. Carlo De Benedetti è l’imprenditore più politico, ovvero più appassionato alla dimensione politica della vita, che l’Italia repubblicana abbia conosciuto dopo Adriano Olivetti. Il messaggio che brandisce a mo’ di scimitarra è quello appunto della radicalità, per questo saluta con entusiasmo l’avvento della Schlein. Non gli piaceva un Pd in versione neo-democristiana, evidentemente perché a lui la Dc non è mai piaciuta. E quindi immagina un partito che in nome della radicalità disboschi la fitta vegetazione delle sue idiosincrasie.

 

Ecco allora spuntare ieri, all’improvviso, una dichiarazione di gioia per l’uscita di Fioroni dal Pd. Sembra livore allo stato puro o forse, per l’irrisione violenta, il gesto di un gladiatore facoltoso. Piuttosto che di radicalità, si dovrebbe parlare di eradicazione. Infatti, tutto ciò che nella sua corrosiva omelia laica appartiene alla “civilisation” democratico cristiana deve essere eradicato, immerso nell’acido della damnatio memoriae, privato di significato e di valore. Non è un capriccio altezzoso, ma un discorso motivato dell’eterna insoddisfazione politica dei dispersi azionisti e post azionisti, capaci tuttavia di manovrare, oggi come ieri, le corregge di un potere sostanziale, per il quale la politica deve comunque inginocchiarsi alla maestà della ricchezza. È qui il punto nevralgico.

 

Sa De Benedetti che il cattolico non è ostile alla ricchezza, ma la subordina a una superiore finalità sociale e quindi a una dimensione altra, certamente più umana, che rende onore al primato della politica. Egli invece dà ordini alla politica, anche lacerando il tessuto morale di una nazione che invece l’ultimo De Gasperi, a riepilogo della sua lunga battaglia per la rinascita dell’Italia, voleva libera dalla dialettica nefasta tra guelfi e ghibellini. Pazienza dunque per gli attacchi personali, sicuramente il “coriaceo” Fioroni saprà farsene una ragione; ma guai ad abbassare la guardia contro questa ripresa di ghibellinismo illuminato ma pretestuoso – e in fin dei conti anche pretenzioso. De Benedetti torni piuttosto alla lezione del laico La Malfa, ex azionista e repubblicano, austero nella critica ma leale nel rapporto con la Dc, perché questo Paese ha bisogno più che mai di aggiornare il patto tra le migliori forze democratiche, liberali e popolari.

 

Altrimenti, inghirlandati a festa per le loro presunzioni, gli inventori del nuovo Kulturkampf lasceranno le carte in mano alla Destra.