Fedeltà alla pace, riflessione per una buona Pasqua.

Nel Salmo 85 si afferma che “giustizia e pace si baceranno”. Dunque, la pace non è una tattica ma una strategia. Guardiamo avanti: Pasqua è anche sorpresa, è anche credere all'impossibile.

Nel mondo ci sono 59 conflitti armati, alcuni dei quali molto gravi, come l’invasione russa in Ucraina. Sono un dramma continuo. E lo sono anche perché se dovessimo ipotizzare cosa ci lascia in eredità il Novecento, forse non sarebbe remoto affermare come l’eredità più positiva consegnataci nei suoi anni finali sia la forte attenzione alla pace. Il XX secolo, il secolo breve, il secolo dei nazionalismi e dei totalitarismi termina con la nascita di un movimento mondiale per la pace, che parte dagli anni Sessanta e arriva alle reti new global degli anni Novanta: un secolo di grandi rivolgimenti così come di grandi idealità, di grandi figure e movimenti che, di fronte alla minaccia nucleare o di qualche forma più o meno velata di imperialismo, si difendono con la non violenza.

Anche la Chiesa cattolica dà un contributo essenziale alla cultura della pace, dal magistero di Giovanni XXIII alle Giornate mondiali istituite da Paolo VI. Tutto concorre a spiegare che la pace – per i cristiani – non è una semplice assenza di guerre ma un patto fondato nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà. Forse a tutti noi basterà ricordare il Salmo 85, dove si afferma che “giustizia e pace si baceranno”: un binomio indissolubile.

Anche rileggendo Emmanuel Mounier ci pare di cogliere lo stesso spunto: la pace non è una cosa fantastica o idealistica, ma è presenza, fatica, impegno che non chiude gli occhi sul male, sul conflitto. D’altra parte per non essere astratti bisogna essere concreti, vedere la realtà. La pace non è un  un ordine esteriore, estraneo alla vita personale di coloro che unisce, e neppure una migrazione all’interno del proprio io o del proprio mondo. La forza esiste e plasma le istituzioni, il diritto, le relazioni. È nostro compito allentare a poco a poco, dall’interno, questa servitù della forza – scrive Mounier – inserendovi progressivamente una giustizia limitativa grossolana, poi una giustizia di reciprocità e infine la dismisura e la sovrabbondanza della carità, della legge dell’amore. Dunque la pace non è una tattica ma una strategia, è lenta. Ogni passaggio in avanti è come una pasqua: come una resurrezione.

La società civile può fare molto, dall’affermare un’economia rispettosa della persona e del bene comune a forme di comunità fondate sull’amicizia civile fino a creare forme di diplomazia popolare, di collegamenti con le comunità presenti nelle nazioni. Anche la società politica può fare moltissimo, a partire da un’attenzione riformista verso le grandi alleanze internazionali: l’Unione europea e l’Onu hanno tutte bisogno di riforma. La politica estera è essenziale per definire ogni politica, anche quella locale. Serve un riformismo internazionale fondato sul rispetto dei popoli e del diritto: la cultura della pace iniziata negli anni Sessanta si sposa bene con un’idea di riformismo internazionale. Serve un’intelligente etica dell’intenzione coniugata a a un’etica della responsabilità: verrebbe da dire, intenzione e responsabilità si baceranno. Le cose stanno cambiando, molto velocemente: le idee politiche si stanno trasformando. Scegliamo un cammino di riformismo ispirato all’unità, alla composizione delle differenze. Con pazienza e sguardo lungo.

Pasqua è anche sorpresa, è anche credere all’impossibile. Si esce dal cenacolo, si attraversa un dramma, si soffre, si va a visitare una tomba: ma senza escludere la possibilità di trovare un sepolcro vuoto e sapere che qualcosa è risorto.