I dubbi sul salario minimo

Il rischio è che l’Italia del salario minimo possa trasformarsi nell’Italia del minimo salario. Ricorrere alla legge sembra il modo più facile per guadagnare equità sociale. Ma siamo sicuri?

Ricordo quando Prodi riuscì a vincere la sfida del cambio contro il marco tedesco, proiettando l’Italia della moneta unica nell’Europa economica. La lira, vecchia gloria della nostra economia, non era più competitiva. Con tutti i dubbi della banca tedesca entrammo nell’euro. Ci si potrebbe chiedere cosa centri questo col salario minimo. Nelle settimane successive al cambio lira-euro non vennero istituite le commissioni provinciali per il controllo dei prezzi. Morale della favola, tutti si aggiustarono col cambio da soli, e le piccole e medie imprese commerciali arrotondarono il preziario, aumentando di fatto il costo di ogni prodotto. 

Ma gli stipendi degli italiani non raddoppiarono come il costo del caffè. I problemi derivati dall’euro, in Italia, non sono quindi da imputare unicamente al cambio internazionale, bensì a un problema interno. Temo che l’Italia del salario minimo possa trasformarsi nell’Italia del minimo salario, attraverso un processo similare. È ovvio che in un momento di grave crisi economica come il nostro, molti siano allettati dall’idea di un’imposizione governativa di una retribuzione minima ordinaria, da cui nessuna impresa potrà scendere quando assumerà. 

Chi ci assicura però che le parti datoriali non si sfileranno da quei contratti collettivi che hanno livelli più alti, per applicare solo il minimo di legge? E non si troveranno impoveriti quei lavoratori che per anzianità o qualifiche percepiscono o percepiranno una paga oraria superiore alle 9 euro lorde l’ora? Inoltre, quando l’inflazione continuerà a salire, e il prezzo dei beni e dei servizi salirà, come faremo, senza una contrattazione sindacale, a rivedere i salari? Chiederemo una legge per l’abolizione del salario minimo? 

Come lo è stato per l’euro, temo che il problema della gestione interna sarà cogente in un Paese come il nostro, in cui le zone d’ombra sono più vaste di quelle visibili alla luce.