Il diritto di sapere chi ci telefona

Chi telefona “sa bene” chi intende contattare

C’è un comportamento ricorrente nell’uso della telefonia mobile, che diventa spesso fenomeno sociale talmente esteso e pervasivo da generare conseguenze problematiche, come sovente richiamato dalla cronaca.

Mi riferisco alla possibilità di utilizzare la cd. “modalità riservata” nell’invio di una telefonata (specialmente avvalendosi di un apparecchio mobile) verso un’altra utenza.

Ciò consente – all’atto pratico – a chi “chiama” di occultare la propria identità telefonica, non consentendo all’interpellato e destinatario della chiamata di sapere da chi viene contattato.

E’ di tutta evidenza (e la cronaca spesso ci propone vicende di comportamenti compulsivi e ossessivi da parte di soggetti che avvalendosi di un’opportunità tecnicamente consentita finiscono con il porre in essere vere e proprie azioni vessatorie e di stalking nei cfr. di soggetti ignari dell’identità dell’interpellante) come questa pratica di uso ormai comune finisca paradossalmente con il tutelare e direi quasi privilegiare l’interpellante rispetto all’interpellato.

Di fatto non viene garantita a quest’ultimo la facoltà di conoscere l’utenza da cui proviene la telefonata, di poter decidere se rispondere o meno, di poter archiviare il numero del chiamante per successive verifiche rispetto alla reiterazione di telefonate a sfondo persecutorio, di disporre del numero dell’utenza al fine di poterla segnalare all’autorità giudiziaria in caso di ulteriori azioni di disturbo.

Allo stato attuale della normativa vigente si può tranquillamente affermare che non esiste un rapporto di tutela e di garanzia paritetica in termini di diritti soggettivi tra chi effettua una telefonata e chi la riceve.

Al primo è permesso di celare la propria utenza telefonica mentre al secondo non viene consentito di poter disporre della libertà e della facoltà di decidere se rispondere o meno, sulla base del fondamentale diritto di conoscere l’identità del chiamante.

Chi telefona “sa bene” chi intende contattare: viceversa chi riceve una chiamata “anonima” (“nessun numero”, “numero sconosciuto” …sono le oscure parole che compaiono sul display dell’interpellato) ignora da chi viene contattato.

Pensiamo alle molestie telefoniche ricevute dagli anziani per probabili truffe commerciali, ai genitori che hanno figli fuori casa, alle donne e ragazze perseguitate da malintenzionati maniaci e violenti. 

Molti fatti di cronaca, la dimensione dilagante del fenomeno, specie nei casi in cui l’utilizzo del mezzo telefonico diventa strumento di violenza e di vessazione imporrebbero di riequilibrare il rapporto (in termini di diritti e tutele personali) tra chi telefona e chi riceve la telefonata. 

Il Garante della Privacy tempo fa aveva fatto sapere che l’Ufficio era a conoscenza del problema, però ogni diversa ipotesi sarebbe vincolata ad una normativa europea che prevede allo stato attuale questa possibilità che – come detto – tutela di fatto  il ‘chiamante’ e non il ‘chiamato’.

Ma se questa normativa legittima una palese disparità di trattamento nella tutela dei dati personali… non è forse giunta l’ora di cambiarla? Quando potrebbe essere il momento buono per esaminare questa problematica che interessa da vicino molti cittadini di ogni età?