Il monito dello statista a sostegno del “metodo democratico” è ancora di grande attualità. In effetti, i cattolici devono dare l’esempio, non per un confessionalismo ormai obsoleto, ma perché attraverso le risorse della razionalità e della cultura politica ed economica, si possa contribuire alla costruzione di un mondo più giusto e più libero, a misura d’uomo.

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L’espressione “metodo democratico” fu usata da Alcide De Gasperi in un celebre incontro, il primo che avrebbe gettato le fondamenta dell’incontro più generale tra i grandi paesi della futura comunità europea. Si tenne a Bruxelles il 20 novembre 1948 per sostanziare di significato le nuove democrazie uscite dalla tragedia della seconda guerra mondiale e dotarle di quel metodo, appunto, che le rendesse impermeabili ai pericoli di nuove derive autoritarie, mantenendo i diritti civili nati dalla rivoluzione francese, ma accordando alla coscienza i diritti di responsabilità etica e morale. 

La nostra democrazia italiana oggi, figlia di quel “metodo”, dovrebbe rileggere il vissuto del progetto politico degasperiano, perché nelle mutate condizioni politiche e sociali hanno cambiato significato alcuni concetti quali la libertà, l’autorità, il consenso e la partecipazione. È diventato un tema centrale il ruolo dei partiti politici e nuovi argomenti si sono imposti alla riflessione acquistando un importanza molto maggiore come i meccanismi di legittimazione del potere politico, la legalità come forma di funzionamento dello stato, il rapporto tra progresso tecnico e progresso morale, le modalità di organizzazione del consenso popolare, la definizione di bene comune e i diritti individuali in una società globalizzata.

L’idea di democrazia trova la completa realizzazione solo nel XX secolo, il secolo in cui cadono le barriere che avevano impedito la partecipazione alla vita politica di un numero rilevante di cittadini. Tuttavia l’elemento caratterizzante della democrazia del ‘900 è consistito nell’uguale partecipazione di ogni membro della società alle decisioni vincolanti per tutti. E ciò era stato reso possibile dall’ampliamento del diritto di voto, quantunque la democrazia moderna intenda andare oltre il principio della sovranità popolare, mirando alla garanzia dei diritti individuali invalicabili dall’azione politica. Per tale ragione la democrazia intende tutelare la libertà della persona, non solo quella dell’individuo, come aveva insegnato il padre del liberalismo, John Locke, per il quale andava difeso ciò che l’uomo “fa” e non ciò che l’uomo “è”, ignorando perciò il valore ontologico dell’uomo persona. Per questo in quel citato discorso De Gasperi insistette sul fatto che l’unione tra libertà e democrazia non si attua tanto nella partecipazione diretta dei cittadini al governo della comunità, quanto nella difesa politica dei diritti della persona da ogni interferenza dello Stato; sicché, a ben vedere, in ciò si qualifica il vero principio di laicità dell‘azione politica altrimenti destinata a degenerare nel laicismo. 

L’insegnamento di De Gasperi riguardava proprio l’uso della democrazia, perché essa è puro dispositivo istituzionale ed insieme di regole procedurali, come condizione necessaria per garantire la convivenza pacifica ed il rispetto dei diritti individuali della persona in una società attraversata da conflitti di classe e di valori. Proprio su questo ultimo terreno dei valori egli si era battuto per evitare il voto palese per inserire nella carta costituzionale il principio dell’indissolubilità del matrimonio, sia per rispettare la libertà di decisione del parlamentare, senza vincolo di mandato, che per evitare di rendere soggiacente alla norma di legge un tema di ordine morale. Ancora oggi alcuni fattori possono provocare una crisi di legittimità degli ordinamenti democratici, generando uno scollamento tra cittadini ed istituzioni e creando una distanza della politica dai problemi reali quotidiani, tra cui due assai allarmanti: la tendenza a fare della politica una professione e l’orientamento degli apparati economico produttivi ad accrescere il proprio potere. La vita politica ha però bisogno dei partiti che non devono intendersi come fazioni, ma piuttosto espressione di valori universali e di interpretazioni generali del bene comune. A tal fine risulta indispensabile la formazione di una solida classe politica non improvvisata o populista, perché colui che svolge un attività politica come servizio deve operare una netta distinzione tra vita privata e ruolo pubblico, perché la politica non è nudità esistenziale ma passione. 

La politica deve alimentarsi di progetto, proposta e soprattutto di sintesi, non può essere realizzata per slogan e non può essere vissuta con sensazioni o emozioni, soprattutto non può essere in eterno conflitto con un avversario-nemico. Deve giungere invece ad un confronto e ad una mediazione; e De Gasperi seppe farlo attraverso la cultura delle coalizioni, pressoché inesistenti fino al secondo dopoguerra in Italia. D’altronde, l’unico esempio era stato nel 1852 il governo Cavour-Rattazzi, detto del “connubio”, nell’ancora esistente Regno di Piemonte. La scelta conseguente del “centrismo riformatore” lo statista trentino la compì per realizzare un progetto di sintesi politica: agglutinare su una proposta di collaborazione i partiti democratici per giungere a realizzare le riforme che l’Italia attendeva da decenni, apparendo quanto mai urgenti. Nacque su questo crinale la Riforma agraria che ebbe come conseguenza una forte flessione del consenso alla coalizione e soprattutto alla DC da parte dei ceti abbienti del latifondismo meridionale, ma che ebbe anche il risultato di far uscire, ad esempio dai Sassi di Matera, migliaia di esseri umani che fino ad allora non avevano condotto un esistenza degna di un paese democratico e socialmente giusto.

De Gasperi, e questo non dobbiamo dimenticarlo, visse proprio nell’età della maturità e al culmine della sua presenza politica nel paese, momenti assai difficili per incomprensioni con diversi settori, dalla destra reazionaria all’avanguardismo neutralista di certi ambienti pur avanzati dello stesso suo partito, ma soprattutto con alcuni settori del mondo cattolico ed ecclesiastico.

Proprio a ridosso delle grandi riforme agraria prima e fiscale poi promossa dai suoi governi, egli dovette subire umiliazioni e ingenerosi giudizi che solo la grande e solida fedeltà seppero fargli affrontare. Come non ricordare l’episodio tristissimo delle palesemente false accuse mossegli da “Il Candido”, pubblicazione diretta da Giovanni Guareschi, su un presunto incitamento di De Gasperi alle forze americane nel 1943 per far bombardare Roma allo scopo di accellerare la caduta del regime? Una pagina terribile, che costrinse il Presidente del Consiglio a denunciare proprio lo scrittore romagnolo che si era distinto con sagacia e impegno nelle elezioni del 1948.  De Gasperi ne soffrì moltissimo e i fatti gli diedero ragione: era un tentativo bieco e privo di prove, se non impregnato di fake news, da parte della destra neofascista di screditarlo, usando la buonafede e l’ingenuità di Guareschi, che pagò col carcere quella così triste vicenda.

Ma la sofferenza non risparmiò De Gasperi neanche all’interno del mondo cattolico stesso, quel mondo e quell’identità religiosa alla quale aveva donato da sempre la sua intelligenza e la sua limpida coscienza. In quegli stessi anni dovette affrontare le conseguenze politiche, ma direi anche umane e relazionali della cosiddetta “Operazione Sturzo”. Avvicinandosi le elezioni comunali per il rinnovo del consiglio comunale di Roma, nel 1952, all’interno del mondo cattolico si fece largo l’idea che la DC, così fortemente supportata dai Comitati Civici del prof. Luigi Gedda nelle elezioni politiche del 18 aprile 1948, non fosse in grado, dato l’indebolimento del sostegno di alcuni settori della borghesia verso il partito a seguito proprio della riforma agraria e fiscale, di vincere quella, seppur locale, ma assai importante competizione elettorale.

Già l’anno prima (1951) in occasione del rinnovo del consiglio comunale di Pompei il vescovo locale, mons. Roberto Ronca, che aveva avuto un ruolo eccezionale nell’ospitare e proteggere antifascisti e antinazisti quando era stato rettore del Seminario maggiore Romano, promosse e benedisse una lista civica denominata “Bartolo Longo” in ricordo del grande domenicano venerato proprio a Pompei. Ebbene, questa lista ottenne la maggioranza dei voti e sorse in alcuni ambienti cattolici l’idea di creare una “syndication” di gruppi cattolici in una lista civica per le elezione del 1952 a Roma denominata  lista “Cupolone”. In base a tale progetto le DC avrebbe dovuto rinunciare a presentare proprie liste, come anche i partiti della destra neofascista e monarchica, favorendo un incentivazione dei possibili suffragi; ma la cosa più dolorosa per De Gasperi fu che quella lista avrebbe dovuto sostenere alla carica di sindaco proprio Don Luigi Sturzo, rientrato da oltre 20 anni di esilio impostogli dal fascismo e che ora essendo prete si trovava a dover ubbidire ad una imposizione che egli probabilmente accettava da sacerdote e che lo avrebbe consegnato al paradosso della storia: una delle figure più fulgide dell’antifascismo, colui che senza mai candidarsi aveva insegnato l’ispirazione laica del cattolico in politica ad un mondo cattolico ancora confuso dal retaggio del “Non expedit” di Pio IX, che diventava sindaco con gli eredi dei fascisti!

Per fortuna quell’operazione fallì: la stessa Azione Cattolica non seguì le direttive di Gedda che probabilmente non ne era stato l’ispiratore, ma solo l’obbediente esecutore e De Gasperi resistette a pressioni e anche a sottili minacce, mantenendo unita la DC e confermando alla guida del Campidoglio il democristiano Salvatore Rebecchini. Fu una dimostrazione di indipendenza, coraggio e forte dignità politica ed umana.

Il “metodo democratico”, quindi, fu una concezione filosofico politica che De Gasperi introdusse nel dibattito politico, con esso allargando il confronto e provocando ulteriori sviluppi nella dialettica tra le forze politiche, non per cambiarsi reciprocamente, ma per arricchirsi di idee, contributi, osservazioni ed anche correzioni, come lo spirito autentico della politica impone. Tale visione credo resti attualissima anche nei comportamenti che oggi vediamo sovente appariscenti e poco sostanziali, molto vissuti nella sovraesposizione mediatica e dei social. Il monito di De Gasperi a sostegno del “metodo democratico” vale, a mio avviso, ancora moltissimo ed è di grande attualità. In questo proprio i cattolici devono dare l’esempio, non per un confessionalismo ormai obsoleto, ma perché attraverso le risorse della razionalità e della cultura politica ed economica, si possa contribuire alla costruzione di un mondo più giusto e più libero, a misura d’uomo, trasformando lo Stato in una comunità civile che favorisca la partecipazione di tutti alle decisioni di comune interesse, combattendo le ingiustizie e difendendo la pace, come Alcide De Gasperi seppe fare.

Prof. Giulio Alfano

Presidente dell’Istituto Emmanuel Mounier