Nei palazzi istituzionali dove si lavora per trovare una soluzione alla crisi di governo si aggira un soggetto che ha improvvisamente iniziato a parlare con piglio da imperatore, dettando delle irrinunciabili condizioni di accordo, che poi modifica il giorno successivo o avvolte anche qualche ora dopo; l’unica condizione che non subisce modifiche è quella relativa al suo personale posizionamento all’interno del nuovo governo con almeno due postazioni di rilevante peso politico.

Il protagonismo di Di Maio preso da un’improvvisa “sindrome napoleone” sta trasformando la trattativa da politica a personalistica, mettendo in assoluto secondo piano i temi relativi alla svolta rispetto alla deriva estremistica che Salvini stava dando a tutta l’azione governativa. Ma Di Maio sbaglia perché così facendo sta stressando i rapporti all’interno del Movimento e rischia un progressivo isolamento personale. In questo senso è molto eloquente l’uscita di Beppe Grillo che si è detto stanco di assistere a trattative su posti di potere e punti programmatici che cambiano di giorno in giorno in modo strumentale; il messaggio ha ovviamente una valenza tutta interna al Movimento ed alle divisioni che lo attraversano.

Se Di Maio ha nostalgia del rapporto che vedeva lui e il M5S sottomessi alle quotidiane prevaricazioni leghiste lo dica con chiarezza. Sarebbe un gesto di trasparenza politica che dovrebbe però essere seguito dalla coerente decisione di tenersi fuori dal nuovo esecutivo, anche perché è difficile essere l’uomo dell’accordo sia con la destra che con la sinistra.
Ma questo momento di chiarezza non ci sarà perché ciò significherebbe per lui iniziare a fare dei ragionamenti politici, oltre che perdere il ruolo e la postazione di potere; non so quale tra le due circostanze lo preoccupi maggiormente, ma so che Di Maio questo gesto non lo farà.