Dott.Davigo, come si può sostanziare e spiegare con parole accessibili al grande pubblico il concetto di legalità?

Vaclav Havel, ex presidente della Repubblica Ceca ha parlato della legalità come del potere di chi non ha potere. I potenti non hanno bisogno della legalità, chi non lo è, grazie alla legalità, può rivolgersi ad un funzionario o ad un magistrato per chiedergli di difendere i suoi diritti con la forza dello Stato.

La Commissione ecclesiale Giustizia e pace della C.E.I. nella nota pastorale “Educare alla  legalità” del 4.10.1991 ha scritto “Se mancano chiare e legittime regole di convivenza, oppure se queste non sono applicate, la forza tende a prevalere sulla giustizia, l’arbitrio sul diritto, con  la conseguenza che la libertà è messa a rischio fino a scomparire. La «legalità», ossia il rispetto e la pratica delle leggi, costituisce perciò una condizione fondamentale perché vi siano libertà, giustizia e pace tra gli uomini”.

Nella Sua lunga e prestigiosa carriera ha trovato una corrispondenza di causalità tra fatti di cronaca e  comportamenti sociali? Le vicende di corruzione venute alla luce hanno contribuito a migliorare il senso civico di legalità, hanno inciso sui comportamenti della gente? Si accusa spesso la politica di essere fonte di cattivi esempi ma è sempre vero che gli elettori sono alla fin fine migliori degli eletti?

La corruzione in Italia era ed è estremamente diffusa. Transaparency International (un’organizzazione non governativa che elabora l’indice della corruzione percepita) colloca il nostro Paese al penultimo posto nell’Europa occidentale e dietro molti Paesi Africani che sono percepiti come meno corrotti dell’Italia. Le reazione della classe dirigente alle indagini sono state di cercare di impedire indagini e processi anziché prevenire al corruzione. Sotto questo profilo la politica ha dato certamente cattivi esempi chiamando ad incarichi pubblici o di partito persone condannate, ovvero che hanno beneficiato della prescrizione, talora confessi. Accanto a ciò sono state varate leggi processuali e sostanziali che hanno reso difficoltoso punire questi comportamenti. Basta pensare alla differenza fra altri Paesi e l’Italia in tema di sanzioni previste per le falsità contabili, presupposto per la creazione di fondi neri, dai quali si attinge per corrompere.

Ritengo che i cittadini siano migliori della loro classe dirigente per una ragione semplice: i ladri non producono reddito, ma lo ridistribuiscono (a se stessi) soltanto. Per questa ragione i ladri non possono mai essere più numerosi dei derubati. La maggioranza assoluta non è composta da ladri, ma da derubati.

Esiste – nella storia giudiziaria recente – il famoso punto di passaggio e transizione ad una seconda o addirittura terza Repubblica? C’è stata continuità nella deriva delle illegalità o c’è stato invece un momento di svolta, una sensibilità più avvertita?

Sono scomparsi cinque partiti, quattro dei quali avevano più di cento anni. Sotto questo profilo un mutamento politico c’è stato. Peraltro i partiti politici continuano ad essere associazioni non riconosciute in cui allignano comportamenti fraudolenti, come il tesseramento di persone ignare di essere iscritte. Anche per questa ragione continuano a dilagare comportamenti illegali nella classe politica.

E’ d’accordo sul fatto che la fermezza vada esercitata non solo nel momento in cui,  individuate le colpe, si vuole infliggere una sanzione esemplare ma in via preventiva ogni volta che – al bivio delle scelte con cui sostanziamo eticamente ogni nostra azione – siamo chiamati a decidere tra il bene e il male?

Le sanzioni esemplari non servono. Serve la scoperta dei comportamenti illegali ed il biasimo sociale degli stessi. Ovviamente per biasimare un comportamento illegale (che è sempre anche immorale) bisogna avere chiaro che è riprovevole. Per i cristiani dovrebbe essere sufficiente ricordare il settimo comandamento.

Dott. Davigo, dall’alto della Sua professione, che differenza vede tra “giustizia” e giustizialismo”? Cercare colpevoli – specie in Italia- è diventato una specie di sport nazionale: la gente chiede giustizia immaginando che le colpe siano sempre degli altri. Non trova che comportamenti sociali, corruzione della politica e informazione (sempre portata ad enfatizzare il male sul bene) abbiano contribuito a modificare radicalmente le stesse relazioni interpersonali, ora più spesso basate su sentimenti condivisi di invidia, sospetto, acrimonia  in una sorta di “tutti contro tutti” generale? Nella sensibilità e nei commenti della pubblica opinione rispetto ai fatti di cronaca avverte un confine, una linea di demarcazione, tra sensibilità morale e rancore sociale? Quanto è sincero il rammarico e quanto contano nel sentire comune i giudizi frettolosi, la voglia del patibolo e del tintinnare delle manette?

Il termine “giustizialismo”  è un neologismo che intende descrivere una situazione in cui vi è o si vorrebbe che vi fosse un eccessivo intervento repressivo. In materia di corruzione ciò non è mai avvenuto. La Finlandia, uno dei Paesi percepiti come meno corrotti al mondo ha, in proporzione alla popolazione, un maggior numero di condanne dell’Italia per i reati di corruzione. L’intervento repressivo in questa materia è, se mai, insufficiente. Nel distretto di Corte d’appello di Reggio Calabria, in 20 anni vi sono state solo due condanne per corruzione. Si potrebbe sostenere che è un’isola felice dove non vi sono corrotti e corruttori, ma un ex sindaco di quella Città ha scritto un libro autobiografico in cui ha descritto una situazione di radicata e diffusa corruzione.

Detto questo sarebbe opportuno che alla voglia di punizione subentrasse anzitutto il desiderio di verità e conoscenza. Non è vero che rubano tutti. È vero che rubano in molti. Per distinguere gli onesti dai ladri sono necessarie indagini e processi. Peraltro una volta che i fatti sono noti ciascun cittadino può farsi una propria opinione e regolarsi di conseguenza. Altrettanto ci si dovrebbe attendere che facessero coloro che sono investiti di responsabilità politiche. Purtroppo ciò raramente avviene. Se venissero processati degli “ex”, già allontanati dai posti che ricoprivano dai loro partiti, ciò che accade nelle aule di giustizia non avrebbe alcun rilievo politico. Invece restano ai loro posti finché arrivano i Carabinieri a prenderli e qualche volta anche dopo.

Si fa un gran parlare di riforma della Costituzione, mi pare tuttavia che questo improvviso fervore sottenda a motivazioni diverse da quelle di un  mero adeguamento tecnico necessario. Non trova che la nostra Costituzione resti ancora una delle più belle lezioni di legalità e vada – se mai – riscoperta, valorizzata e , finalmente, applicata integralmente? Nel relativismo etico e culturale del nostro tempo, in questa epoca di crisi e di transizione, dove si sono persi gli orizzonti di senso, la direzione di marcia e il collante per il bene comune, la Costituzione Repubblicana può costituire ancora un riferimento imprescindibile per tutti noi?

Sono molto scettico rispetto alle riforme di cui si parla da anni.

Quanto al federalismo basta ricordare che la Sicilia è la Regione con il massimo di autonomia, addirittura fina dal 1946. Non mi sembra che i risultati siano stati brillanti. Forse sarebbe necessario prendere funzionari in Alto Adige e mandarli a Palermo, ma questo è esattamente il contrario del federalismo.

Quanto al presidenzialismi, semi presidenzialismo o rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio dei ministri ci si dimentica che in un regime parlamentare il primo ministro deve avere il voto di fiducia delle Camere e quindi è anche, necessariamente, il capo della maggioranza parlamentare. Cumula in sé il potere esecutivo e legislativo. Forse ha troppi poteri, non troppo pochi.

Quanto alla riforma del Parlamento per renderlo più efficiente (eliminazione del bicameralismo perfetto) mi sembra che ci si dimentichi che l’Italia ha troppe leggi non troppo poche.

Detto questo vi sono riforme necessarie per adeguare l’assetto costituzionale al sistema elettorale maggioritario, ma sono di segno diverso e contrario rispetto a quelle proposte da tutto l’arco politico.

La Costituzione della Repubblica rimane un tavola, non solo di regole, ma anche di valori, tuttora attuale.

Alcuni di questi valori (diritti umani, principio di uguaglianza, imparzialità della pubblica amministrazione, solidarietà) devono essere rafforzati di fronte agli attacchi sempre più frequenti.

Si ha l’impressione di uno scontro continuo e diretto tra i cosiddetti poteri forti dello Stato: per questo i moniti e i richiami del Presidente della Repubblica non mi sembrano retoriche affermazioni di principio.  La gente percepisce un atteggiamento tendenzialmente tracotante della politica, che separa il paese legale da quello reale. Ci sono condizionamenti forti e occulti nell’informazione, nell’economia, come se poche mani sapienti orientassero le scelte che riguardano la collettività. Che cosa ci separa dalle democrazie occidentali più evolute dove la politica è servizio e non ‘affare’? 

Anzitutto vi è un problema serio di informazione: in Italia non esistono editori puri (che si occupano cioè solo di informazione). In secondo luogo vi è un diffuso costume di servilismo verso i potenti. In nessun Paese occidentale un potente potrebbe dire ai giornalisti quello che si sente dire in Italia, senza che gli fossero rivolte domande o ricordati i fatti che lo smentiscono.

In secondo luogo il contrasto ai comportamenti devianti della classe dirigente è più energico. È sufficiente ricordare quali sanzioni sono state inflitte a manager negli Stati Uniti o le dimissioni di esponenti politici in Gran Bretagna per fatti decisamente meno gravi di quelli che si vedono quotidianamente in Italia.

E’ di questi tempi la diatriba sulla lunghezza dei processi ma anche sulla proliferazione esponenzialmente crescente di leggi e leggine, come se tutti gli aspetti della vita sociale potessero essere previsti e regolamentati. Perché in Italia è così difficile avere un quadro normativo certo, rassicurante, sintetico e tutelante per tutti, dove la “legge” sia garanzia di equità e non scorciatoia per interessi di  parte?

In Italia abbiamo avuto per quarant’anni un sistema politico bloccato con la conseguenza che sono state trasferite dal Governo al Parlamento una serie di decisioni per coinvolgere, almeno nella discussione, l’opposizione. Il risultato è stato il proliferare delle leggi.

Vi è poi un eccessivo ricorso allo strumento penale, anche per fatti che potrebbero essere puniti con sanzioni amministrative ovvero essere considerati solo illeciti civili.

A fronte di una spesa per la giustizia dello stesso ordine di grandezza in Gran Bretagna si celebrano 300.000 processi penali l’anno; in Italia 3.000.000.

Ogni anno in Italia vengono iniziate più cause civili di quante ne vengono avviate in Francia, Gran Bretagna e Spagna messe insieme.

La ragione principale della durata dei procedimenti è il loro numero. Se un giudice deve fare un processo e questo dura 4 udienze dura 4 giorni. Se ne deve fare 2.000 e la prima udienza libera c’è la dopo un anno 4 udienze sono 4 anni.

Per ridurre il numero di processi è necessario rivedere il sistema alla radice, perché oggi sono tutelati coloro che violano le regole anziché coloro che le rispettano.

È anche necessario ridurre il numero di avvocati. In Italia sono 230.000, in Francia 47.000.

Nel contesto dei procedimenti di competenza del Tribunale dei minori si parla di “giustizia mite”. Esiste forse  il pericolo che questa scelta porti ad una concezione ‘indulgente’ della giustizia anche per il resto della vita?

Bisogna distingue tra le varie realtà, la giustizia “riparativa” può funzionare per reati non gravi e per imputati che non hanno fatto del crimine una scelta di vita. Per questi ultimi è necessaria fermezza.

Dott Davigo , nel ringraziarLa per la Sua preziosa e prestigiosa collaborazione, Le rivolgo  come ultima domanda la famosa invocazione di quel mugnaio prussiano che di fronte all’ennesima angheria subita dal suo imperatore esclamava: ci sarà pure un giudice a Berlino! In altri termini: vedendo tante ingiustizie sociali, prepotenze, inganni, soprusi, i cittadini possono sperare ancora nella Giustizia?

Nonostante le gravi difficoltà in cui il sistema giudiziario si dibatte, credo di si. Migliaia di persone (appartenenti alle forze di polizia, funzionari, avvocati e magistrati) continuano a fare il loro dovere per cercare di rendere giustizia. Comunque non può mai essere più buio che a mezzanotte.