Intervista al Prof. Giulio Maira: “Le età della mente”

Il professor Giulio Maira è uno dei massimi chirurghi italiani del cervello a livello internazionale. Ha insegnato tra l’altro all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, all'Università di Perugia, presso il Policlinico Gemelli e operato all’Istituto Humanitas di Milano. Numerosi gli articoli e i libri scritti e i premi ricevuti. È membro della New York Academy of Sciences e presidente della Fondazione Atena Onlus da lui creata per favorire la ricerca e la divulgazione delle neuroscienze. Per Il Domani d'Italia ha pubblicato l'intervista "Il cervello è più grande del cielo

Prof. Maira, dopo l’intervista sul suo libro “il cervello è più grande del cielo” che è stata molto apprezzata dai lettori, eccoci ad approfondire il contenuto del Suo ultimo lavoro , “Le età della mente”, scritto in collaborazione con la giornalista Vira Carboni. Scorrendo le pagine di questa nuova opera si coglie una continuità tematica, che va letta sotto diversi profili: scientifico, clinico, psicologico, comportamentale, emotivo. Si può affermare dunque che questo argomento che Lei studia e spiega da vari approcci costituisce un ambito di studio e applicazione professionale ma anche un interesse ricco di fascino e di misteri che vuole rendere accessibile al grande pubblico?

Da tanti anni ho il grande privilegio di fare il neurochirurgo, una professione che ritengo tra le più belle che si possano fare, dove ogni intervento è scienza ma anche il fascino di un‘avventura unica che ci porta a contatto con l’organo più straordinario e misterioso che si conosca. Anche se quel che sappiamo sul cervello è ancora una minima parte del tutto, tuttavia è già sufficiente per farci capire che è un capolavoro sconcertante. In questo libro ho voluto raccontare la magia del suo funzionamento e analizzare, per ogni età, le modalità di maturazione e i comportamenti utili perché la crescita avvenga nel modo migliore dandoci, per ogni età della vita, un cervello “allenato” e con buone capacità cognitive.   Ricordiamoci che la qualità della nostra vita dipende dalle capacità mentali che avremo sviluppato nel corso dell’intera esistenza: se il cervello non funziona bene, la vita non sarà meravigliosa.

Già nell’introduzione di questa lunga riflessione si coglie la dimensione cosmologica del Suo studio. Partendo dal ‘Big Bang’, avvenuto 13,8 miliardi fa, alla comparsa dell’homo sapiens 100 mila anni da oggi e il ‘grande balzo in avanti’ che Lei colloca intorno a 70 mila anni fa e attribuisce ai ‘neuroni specchio’, che potrebbero essere considerati la base della rivoluzione cognitiva, prima attraverso l’apprendimento per imitazione, poi mediante il linguaggio e la scrittura, come strumenti di comunicazione e catalogazione delle esperienze apprenditive e poi scientifiche: possiamo dunque cogliere in questa teoria evolutiva mutazioni morfologiche del cervello che hanno accompagnato una trasformazione funzionale? Si può ragionevolmente dedurne una mutazione genetica che ha moltiplicato operazioni mentali sempre più complesse? Come spiega che negli ultimi 50 mila anni non ci sia stato un cambiamento significativo nel nostro genoma (l’insieme dei nostri geni, dal concepimento della vita umana) mentre assistiamo ad una evoluzione straordinaria delle potenzialità cognitive? Possiamo attribuire questo sviluppo al “connettoma”, cioè alle connessioni neuronali del cervello che sono diverse per ciascuno di noi a motivo del continuo plasmarsi delle reti neurali attraverso le esperienze di vita e l’accumulo culturale, che ci rendono unici tra i nostri simili? Mi colpisce la citazione dell’opera di Isaac Newton del 1687, “Principi matematici della filosofia naturale” da Lei definito… ‘ il libro più importante della storia moderna’: ce ne vuole illustrare la ragione scientifica?

Nella lunga e lenta storia dell’evoluzione dell’uomo, fino all’Homo Sapiens, ad un certo punto è successo qualcosa di straordinario e fortemente rivoluzionario che ha svincolato l’uomo dalla lentezza dell’evoluzione basata sulle trasformazioni genetiche. Fu allora che si ebbe, come dice Yuval Noah Harari, un punto di svolta, quello in cui la storia dichiarò la sua indipendenza dalla biologia. Comparvero nuovi modi di pensare e di comunicare, l’uomo realizzò le prime pitture rupestri e da allora, sempre più velocemente, si affermò quella che, con il grande balzo, fu chiamata una rivoluzione cognitiva. A questa fece seguito una rivoluzione culturale e poi una rivoluzione scientifica grazie alle quali l’uomo, pur mantenendo il genoma di 50mila o 100mila anni fa, accelerò decisamente il suo destino e la sua storia, giungendo alle scoperte e alle realizzazioni straordinarie di oggi. Molti si sono chiesti come tutto ciò fu possibile. Certo l’accrescersi delle connessioni cerebrali, il cosiddetto connettoma, fu molto importante. Ma in questo gioco ritengo che le connessioni abbiano un ruolo secondario; sono le aree cerebrali, con i neuroni che le guidano, a stabilire le funzioni. Secondo alcuni scienziati tutto avvenne grazie a una piccola modificazione genetica che portò allo sviluppo dei neuroni specchio, con tutte le ricadute sull’apprendimento che queste cellule portarono. Per rispondere alla parte finale della sua domanda, Isaac Newton, nato il giorno di Natale di quel 1642 che fu anche quello della morte di Galileo, altro gigante della scienza, fu uno degli esponenti più importanti della rivoluzione scientifica di cui si diceva prima. Newton, in un‘equazione, descrisse la forza che tiene i pianeti in orbita nel cielo e che dà forma a tutta la vita sulla Terra, e capì come il codice della natura fosse scritto nel linguaggio della matematica. Ci sono voluti molti secoli e molti progressi tecnologici e nelle conoscenze perché la scienza riuscisse ad usare estesamente la matematica avviando così uno sviluppo scientifico straordinario che oggi ci ha portati all’intelligenza artificiale.

Collocare lo sviluppo cognitivo e la longevità del cervello nell’alveo di una evoluzione temporale che detta le regole della genesi e dell’obsolescenza, come vincolo fondativo della natura stessa (in estrema ratio il nascere e il morire), è certo materia di straordinario fascino scientifico e culturale: ci è stato insegnato che l’ontogenesi (la storia del singolo uomo) tendenzialmente segue e spiega  la filogenesi (l’evoluzione nel tempo dell’umanità, dalle sue origini). Eppure una delle ragioni del suo libro è quella di dimostrare che la sfida al genoma umano (che riassumiamo come DNA) attraverso la via della rivoluzione cognitiva e scientifica può allungare la vita e potenziare le nostre capacità cerebrali. Già nella precedente intervista Lei aveva approfondito la complessità morfologica e la straordinaria potenzialità del cervello, l’organo che sostanzialmente detta le regole al corpo umano e ci consente di vivere esperienze cognitive e relazionali sempre più evolute. Particolarmente interessante sarebbe riprendere in considerazione il passaggio dai meccanismi chimici che avvengono nel cervello al pensiero, che è l’agente capace di trasformare la chimica in azioni e sentimenti. Per quanto possa essere difficile comprenderlo può spiegarci come nasce il pensiero e con esso i sentimenti?

Nel corso della sua lunga evoluzione il cervello ha sviluppato la capacità straordinaria e affascinante di “inglobare la sua storia”, di custodire, quasi fosse un museo, i resti di tutte le fasi di un’evoluzione avvenuta nel corso di milioni di anni e che, come ultimo atto, ha visto lo sviluppo della corteccia cerebrale che, materialmente e simbolicamente, ha avvolto dall’esterno le strutture nervose preesistenti. La cosa affascinante è che nello sviluppo del cervello di ognuno di noi, dall’embrione all’età adulta, grosso modo viene seguito lo stesso percorso: il cervello si sviluppa ripercorrendo, in un brevissimo tempo, gli stadi succedutisi in millenni di lenti e continui cambiamenti. Anche dopo la nascita, il lento completamento del cervello inizia da quello più antico e solo alla fine la corteccia, il cervello più recente, raggiunge la sua maturità.  Ogni operazione del nostro cervello, dal pensiero al sentimento di felicità, avviene attraverso un gioco continuo di propagazione di impulsi elettrici e liberazione di sostanze chimiche, i neurotrasmettitori. I segnali elettrici e chimici costituiscono il linguaggio con cui le cellule si parlano. Come possa succedere questo passaggio dalla materia all’immateriale è ancora sconosciuto alla nostra mente; è ciò che gli scienziati e i filosofi chiamano “the hard problem”. Certamente, sapere che le nostre emozioni più intime siano solamente il risultato di un gioco, apparentemente da noi poco controllato, tra impulsi elettrici che corrono lungo i prolungamenti dei neuroni e sostanze chimiche che attivano le cellule, può togliere la poesia a parole come felicità, amore, nostalgia. Ma io credo che il miracolo, incomprensibile per la nostra mente, stia proprio qui, in questo salto inebriante dagli atomi al pensiero, dai neurotrasmettitori alla coscienza. E’ proprio nell’imperscrutabilità della nostra mente e della via della coscienza verso la felicità che l’uomo riconosce di essere parte di un progetto superiore.

La neuroplasticità del cervello è forse una delle caratteristiche più importanti e significative della mente umana perché consente un continuo adattamento agli stimoli esterni ma anche la possibilità di controllare e gestire i cambiamenti spazio-temporali della nostra vita. Mi ha molto affascinato la descrizione del reset notturno che taglia molti input accumulati durante la giornata, una sorta di assottigliamento di circa il 20 % delle migliaia di miliardi di sinapsi presenti nella nostra corteccia cerebrale e ciò per evitare un ingolfamento informativo che depotenzierebbe ulteriori potenzialità cognitive: dopo aver riposato, il sentirci svegli ci predispone a nuovi apprendimenti, a relazioni, a conoscenze, a sentimenti che rendono sempre viva e predisposta al nuovo la nostra mente. Direi che si tratta di una rimozione automatica che ha dello straordinario: funziona sempre così o si possono verificare patologie che rallentano questa funzione , chiamiamola, rigenerativa della “batteria mentale”? 

La neuroplasticità è una delle caratteristiche più importanti e peculiari del nostro cervello e consiste, come lei ha detto, nella capacità di cambiare struttura e funzione in risposta a stimoli esterni, così da crescere e imparare sempre. Ma, per un meccanismo apparentemente strano, durante la notte avviene un fenomeno straordinario: i ricordi ritenuti significativi vengono consolidati mentre le esperienze ritenute poco interessanti vengono rimosse. A questo punto viene naturale porsi una domanda: perché la natura non ci permette di ricordare tutto?  Perché se non riuscissimo a fermare la mente e tutto si imprimesse nella memoria, ciò richiederebbe un dispendio di energia eccessivo da cui deriverebbe un malessere fisico e psichico. Inoltre, satureremmo così ampiamente le reti neurali e le attività mentali per contenere il ricordo di ogni esperienza che “non saremmo in grado di formulare idee generali, e forse non saremmo proprio in grado di pensare”, come dice Borges del suo personaggio Ireneo Funes, nel racconto  “Funes el memorioso”, dove racconta la storia di un uomo ipermnestico, condannato a ricordare tutto. La mancanza del meccanismo dell’oblio terrebbe sempre vivido il dolore di ogni ricordo triste, che non verrebbe mai cancellato. Inoltre, il carattere non selettivo della memoria, togliendo le emozioni dai ricordi, non ci farebbe più distinguere le cose importanti dalle cose banali, ci precluderebbe le gioie o la malinconia, non ci consentirebbe di avere nostalgia del nostro passato. 

La neuroplasticità cerebrale – come Lei spiega – non è dettata solo dalla formazione di nuove sinapsi e quindi di connessione tra neuroni (ce ne sono circa 150 mila miliardi) ma è anche data dal cd. “giro dentato dell’ippocampo”, correlato a funzioni come la memoria e i  nuovi apprendimenti, peraltro in stretta connessione con gli stimoli  dell’ambiente esterno. Dove si colloca morfologicamente? Possiamo dire che le potenzialità cerebrali sono dettate e condizionate oltre che dal contesto , dall’età della persona? E quanto conta “esercitare” il cervello a nuovi apprendimenti? Certe malattie degenerative della mente possono aver luogo per patologie preeesistenti ma possono essere negativamente condizionate dall’assenza di stimolazioni nell’ambiente di vita? Lei scrive inoltre che – al pari di altri organi del corpo umano- anche il cervello segue una parabola evolutiva che tuttavia – pur essendo legata all’età – può essere conservata più a lungo stimolando l’uso del pensiero, della lettura, della scrittura, gli interessi culturali, potenziando e assecondando attitudini innate, diverse per ciascuno di noi. E’ per questo che l’età della mente può avere uno scarto positivo rispetto all’età anagrafica? La storia dell’arte, quella delle scienze, della musica e della letteratura ci offrono molti esempi…. E’ allora utile “allenare “ il cervello a rimanere desto e produttivo, nella sfera cognitiva e relazionale? In che modo possiamo fare training mentale?

I neuroni cerebrali, dopo l’incredibile crescita numerica che abbiamo quando siamo nella pancia della mamma, in genere tendono a non duplicarsi, a differenza delle altre cellule del nostro organismo. La crescita del cervello legata alla plasticità avviene in gran parte per sviluppo di nuovi connessioni e di nuove sinapsi.  Vi sono tuttavia aree del cervello dove continuano a formarsi nuovi neuroni, dove è attiva la neurogenesi. E’ in particolare nel giro dentato dell’ippocampo, localizzato nella parte più mediale e basale del lobo temporale, bilateralmente, che nel corso dell’intera vita continuano a svilupparsi nuovi neuroni. L’ippocampo è correlato a funzioni fondamentali come quelle dell’apprendimento e della memoria e la crescita di nuovi neuroni riveste un ruolo fondamentale per il mantenimento e lo sviluppo di queste abilità cognitive. La continua aggiunta di neuroni al giro dentato fa sì che, con il passare dell’età, la plasticità strutturale e funzionale dei circuiti nervosi dell’ippocampo, e quindi la sua capacità di aggiungere nuove memorie, si mantenga o venga aumentata. Naturalmente, un corretto utilizzo del cervello lungo tutta la vita, evitando tutti i comportamenti che possono interferire con una sua piena maturazione o possono danneggiarlo, contribuisce, assieme alla neurogenesi, a costituire una riserva cognitiva che permetterà di giungere in età avanzata con un cervello bene efficiente. Fare training mentale significa proprio utilizzare il cervello. Leggere, socializzare, imparare nuove attività, avere un atteggiamento positivo verso la vita, evitare di impigrire la propria mente, sono tutti comportamenti utilissimi per mantenere vivo il cervello.

“Le età della mente”  è un titolo che evoca un percorso fisiologico in larga parte predeterminato ma anche la possibilità di sviluppare una produzione mentale, affettiva, emotiva, comportamentale che rafforza identità, autostima, relazioni interpersonali mantenendo un livello elevato di interessi. Poi ci sono purtroppo le malattie mentali degenerative che spegnendo a poco a poco le potenzialità del pensiero  isolano chi ne è colpito dal mondo affettivo e cognitivo del contesto abituale di vita. In particolare l’Alzheimer costituisce una patologia fortemente penalizzante: più che una malattia potrebbe essere considerata un progressivo depotenziamento,  tanto che si riferisce di “sindrome di Alzheimer”. Esiste una correlazione diretta tra invecchiamento della mente umana e insorgenza di questa patologia oppure prevalgono altri fattori congeniti, accelerati magari da un contesto deprivante e povero di stimoli? Possiamo stabilire una sovrapponibilità o un rapporto di  consequenzialità tra demenza senile e sindrome di Alzheimer?

Quando si parla di demenza ci si riferisce a un disturbo acquisito che, in conseguenza di processi patologici che uccidono le cellule del nostro cervello e alterano i normali funzionamenti mentali, compromette le funzioni più importanti del nostro cervello, cioè le funzioni cognitive, quelle grazie alle quali ricordiamo le cose e le persone, riconosciamo i luoghi, sviluppiamo i pensieri che caratterizzano le nostre giornate e le nostre esperienze. In Italia circa un milione di persone soffre di demenza; la forma più diffusa e conosciuta è la demenza di Alzheimer, seguita dalla demenza vascolare. Molto rara sotto i 65 anni, la sua incidenza aumenta progressivamente con l’aumentare dell’età, per raggiungere una diffusione significativa nella popolazione oltre gli 85 anni. Nei paesi industrializzati, la prevalenza della demenza (cioè la presenza di malattia nella popolazione generale) è di circa l’8% negli ultrasessantacinquenni e sale a oltre il 20% dopo gli ottanta anni.  La demenza è tra le malattie di cui si ha più paura, che può colpire chiunque mortificandone l’identità e la dignità. E’ una patologia che ha due caratteristiche fondamentali. Colpisce il paziente togliendogli la vita ma lasciandolo in vita; in apparenza è normale ma dentro non c’è più, ha bruciato il suo rapporto con il mondo e con le cose. Ma colpisce anche il nucleo familiare, che gli è intorno. E senza le cure di chi gli è intorno il malato non potrebbe sopravvivere.  Purtroppo, fino ad ora, la ricerca non ha dato risposte importanti relativamente a farmaci che la possano curare. La prestigiosa rivista Lancet Neurology, nel 2016 ha definito questo fatto come “il maggior insuccesso della medicina moderna” (The Lancet Neurology 15, 649, 2016). Si è visto, ed è questo un dato positivo, che nei paesi più attenti al welfare, la diffusione di comportamenti preventivi, quali osservare le regole elementari della buona salute e adottare stili di vita corretti, può portare ad una diminuzione significativa dell’incidenza annuale di demenza. Negli USA, ad esempio, dal 1975 l’incidenza annuale è scesa di quasi il 50%, parallelamente a quella dei disturbi cardiocircolatori.

Ripercorrendo le fasi di formazione del cervello nel feto Lei si sofferma sui passaggi che generano lo sviluppo delle fasi sensoriali, evidenziando come tale organo durante la gravidanza sia il più complesso e nello stesso tempo il più grande per dimensioni rispetto al corpicino che si sta formando. Vuole ricordarci alcune peculiarità di questa formazione, dal punto di vista neurologico? Lei evidenzia inoltre l’importanza di una corretta gestazione poiché durante la gravidanza si realizza l’organizzazione delle funzioni cerebrali del nascituro e, quindi, si costituisce il suo iniziale patrimonio cognitivo: quali cautele bisogna unque assumere per evitare complicazioni (es. uso di alcool e droghe da parte della madre)? Dopo la nascita Lei ci ricorda che i primi sei anni di vita sono fondamentali poichè la formazione delle sinapsi ha luogo attraverso fasi di proliferazione neuronale, alternate a reset sinaptici: immagino che ciò spieghi il fatto che la crescita del cervello nella fase infantile non è solo un fenomeno di accumulo quantitativo, bensì di ‘selezione funzionale’. Poi Lei si sofferma a considerare quanto sia importante il contesto di vita, relazionale, cognitivo e affettivo, per uno sviluppo armonico delle facoltà mentali. La fase scolastica è un periodo fortemente ricettivo in quanto a stimoli e apprendimenti che durano tutta la vita, pur se aggiornati da continue selezioni e sostituzioni di dati trattenuti. Quando si parla di ‘lifelong education’ (cioè di educazione permanente) si esprime allora un concetto scientificamente sostenibile?

Nella pancia della mamma a partire da poche cellule avviene un fenomeno quasi miracoloso: tutti gli organi, e con essi il nostro cervello, prendono la loro forma e iniziano la loro funzione. La formazione del cervello che avremo alla nascita avviene per il susseguirsi di fasi di costruzione e di fasi di eliminazione. Fra il terzo e il sesto mese di vita intrauterina la proliferazione neurale prenatale raggiunge l’apice; in una delle aree del cervello vengono prodotte circa mezzo milione di sinapsi al secondo. Eppure, incredibilmente, durante gli ultimi mesi di gestazione, il cervello subisce una netta riduzione cellulare e molti neuroni vengono eliminati. “Il sistema nervoso agisce attraverso drastici processi di eliminazione di popolazioni cellulari eccedenti il fabbisogno”, scriveva molti decenni fa il premio Nobel Rita Levi Montalcini.  Tutto questo ci fa capire come la gravidanza rappresenti un momento molto delicato, e allo stesso tempo di grande responsabilità nei confronti dell’essere che nascerà. Ogni comportamento materno scorretto, come un’alimentazione sbagliata, il fumo, l’esposizione a un ambiente inquinato per la presenza di agenti tossici, di suoni ad alto indice di decibel, di stress cronico e altro, oppure l’assunzione di alcol e droghe, può indurre alterazioni nei geni che controllano il processo di maturazione cerebrale embrionale e fetale e determinare anomalie. Un altro momento cruciale nella formazione del cervello lo si ha nei primi anni di vita. Prendersi cura con amore dei piccoli è importantissimo; anche se appaiono distratti, il loro cervello è come una spugna che assorbe tutto e approfitterà di ogni occasione per imparare e progressivamente svilupparsi. Il meccanismo attraverso cui sviluppano una parte considerevole delle loro abilità intellettive ed emotive passa attraverso l’osservazione e l’imitazione. Per questo, quando parliamo con nostro figlio, quando lo baciamo, o semplicemente quando lui ci osserva, il suo cervello crea connessioni che saranno importanti per la sua vita da adulto.

Considerando l’età adolescenziale la Sua riflessione alterna e mette in correlazione continua i fattori endogeni di crescita e di consolidamento delle funzioni cerebrali con gli influssi esterni, dalla famiglia all’educazione scolastica, all’ambiente accogliente e stimolante, al gruppo dei pari, agli stili di vita, le pratiche sportive, la dimensione affettiva e relazionale, l’utilizzo delle tecnologie in modo sempre più pervasivo, le conseguenze negative di fumo, alcool e droghe: si può dire che l’adolescenza costituisca anche ai fini di un approccio valutativo clinico e auxologico un passaggio cruciale per il resto della vita. Trovo importantissima questa correlazione tra conoscenza di ciò che avviene nella morfologia del cervello e dimensione direi quasi pedagogica di considerazione del soggetto in piena esplosione di crescita e formazione. Ci illustra brevemente ciò che ritiene più importante sapere di questa età della vita, nell’economia della Sua riflessione sulle età della mente?

L’adolescenza è la fase più bella della vita, ma allo stesso tempo è un momento molto critico. In questa momento della vita le regioni limbiche, deputate alle funzioni più istintive, prevalgono sulle regioni frontali del raziocinio. Ciò spiega perché gli adolescenti siano sbilanciati verso il piacere e spiega il prevalere di comportamenti a rischio, dovuto allo scarso controllo delle regioni corticali frontali sugli impulsi primari. Hanno più difficoltà a prendere decisioni mature e a comprendere le conseguenze delle proprie azioni, e questo li porta a essere fragili, vulnerabili alle situazioni pericolose, ad assumere comportamenti trasgressivi come ubriacarsi o consumare sostanze illegali.  Negli ultimi decenni, l’abuso di alcol e droghe, anche in età precoce, è diventata una vera e propria malattia sociale. E purtroppo la scienza ci dice che le droghe possono provocare gravi danni al cervello. La prima battaglia contro la droga deve essere combattuta nelle famiglie e nelle scuole. Lo slogan da seguire deve essere: “Attenzione e informazione”, attenzione ai comportamenti e informazione ai giovani sui danni che le droghe possono provocare. Far sapere quali sono le possibili conseguenze  cerebrali che si rischia di portarsi dietro per tutta la vita perché ci si droga o ci si ubriaca, può servire a far capire che l’alcol e la droga non sono un gioco o un divertimento fine a se stesso ma possono compromettere la vita per sempre. E in questo gioco pericoloso non vi sono droghe pesanti e droghe leggere, tutte fanno male al cervello.

Passando a considerare l’età adulta e da essa il periodo che va verso la senescenza Lei sottolinea come il cervello umano raggiunga in questa fase la piena maturità, che non è solo un fatto biologico, ma grazie ad esso e alla straordinaria possibilità di rimodularsi e alla sua plasticità favorita da stimoli che generano nuove produzioni sinaptiche, diventa l’età della saggezza, dell’esperienza e della conoscenza della vita, aprendosi potenzialmente a nuovi interessi da coltivare. Se ne evince che un ambiente ricco di stimoli favorisce una longevità delle potenzialità e delle facoltà mentali. Con grande vantaggio per i lettori Lei si sofferma ad analizzare l’importanza degli stili di vita (alimentazione, movimento, sport, lettura, loisir, relazioni umane affettive e amicali, contrasto delle situazioni di stress, gestione diretta delle personali incombenze nel contesto della vita sociale…) . Un tempo la maggior parte delle persone invecchiava prima, anche mentalmente. Se si fa debita eccezione per i geni dotati di una capacità produttiva mentale fuori dall’ordinario. Per chi legge, ha qualche valutazione  da evidenziare o qualche consiglio da suggerire?

L’età adulta è ancora un periodo straordinario della età della mente: si consolidano le esperienze di tanti anni e si sviluppa ciò che chiamiamo saggezza, conoscenza della vita. Ci sentiamo nel pieno della capacità fisica e cognitiva, ma la curva discendente è già iniziata e i primi segni di indebolimento della memoria ci mettono in allarme. E’ importante tenere sempre presente che, grazie alla sua straordinaria plasticità, il cervello, anche in età adulta o nella senescenza può modificare la sua struttura, far crescere nuove sinapsi, far germogliare nuove ramificazioni e aumentare la sua connettività neuronica. La ricerca scientifica, inoltre, ha mostrato che sull’osservazione delle regole elementari della buona salute e di stili di vita corretti si può impostare un’importante strategia di prevenzione per vivere più a lungo e con un cervello migliore. Certamente, gli effetti positivi di una vita sana si manifestano maggiormente se si comincia a pensarci da giovani, ma non è mai troppo tardi per cominciare.  Le regole da seguire sono semplici e possono riassumersi in questo modo: “Avere una vita attiva, sia intellettualmente che fisicamente, seguire un’alimentazione leggera, sana e variata, e dormire bene”La hit parade delle cose utili comincia con quello che mangiamo e con l’attività fisica costante, entrambe cose necessarie anche per la buona salute del cervello. Ma sul cervello possiamo agire direttamente. Anche se, a partire da una certa età, e soprattutto con la senescenza, perdiamo neuroni, i nostri collegamenti nervosi sono in costante rinnovamento. A qualunque età possono formarsi nuove fibre e nuove sinapsi, e il modo per farlo è molto semplice: in pratica, basta pensare. La chiave dell’intelligenza sta proprio in questo, nella capacità continua di apprendimento: ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo, il nostro cervello, in un certo senso, si ristruttura e costruisce nuove connessioni. Le attività utili possono essere tante, come leggere molto, imparare una lingua nuova o fare musica (ascoltarla, studiarla, eseguirla, imparare a suonare uno strumento musicale), socializzare, avere un atteggiamento positivo e ottimista verso la vita, riposare bene, contrastare lo stress. Anche un buon sonno è molto importante per la salute della nostra mente.

Lo scorrere del tempo, l’incremento demografico, il degrado ambientale, i mutamenti climatici ed ora la crisi pandemica determinano situazioni antropologicamente sempre più complesse e dense di opportunità ma anche di difficoltà e di incognite. La scienza spinge verso l’ottimismo poiché dal progresso possono nascere soluzioni ai problemi nuovi del vivere oggi. Un approccio più umanistico mette in guardia dai pericoli dello scientismo e paventa una mutazione ontologica della natura umana, ipotizzando l’incombenza di una sorta di selezione naturale per deficit di resilienza. Mai come oggi avvertiamo la sensazione di andare incontro ad un ignoto forse ingestibile, certamente foriero di una biosostenibilità sempre più difficile, anche sul piano dell’interscambio e del conflitto generazionale. Mi piacerebbe una Sua valutazione su questi aspetti che si stanno palesando – specie nella cd. terza età – in questa fase di pandemia planetaria. Fino a quanto la scienza potrà far fronte alla ribellione della natura? Come potrà esserci di aiuto l’intelligenza artificiale senza privarci delle redini atte a  guidare i nostri destini? Quanto conta l’uso del pensiero critico nelle scelte da compiere, da quelle affidate ai decisori politici a quelle che riguardano la nostra vita quotidiana? Lei, in esordio del Suo libro, ricorda quanto sia stato storicamente importante il “cinquecento”: oltre la fiducia doverosa nella scienza e nel progresso quanto sarebbe utile un’epoca di rinascimento culturale, un nuovo umanesimo? Lo chiedo appunto allo scienziato e all’uomo ricco di cultura e di lungimiranza.

Certamente, in tutti questi mesi passati con lo spettro del virus, il pensiero della pandemia ha catturato la nostra mente e governato le nostre vite. Ma ci ha anche spinto a riflettere su tante cose. Tra le cose a cui si è pensato c’è la nostra sanità. Ci illudevamo che fosse tra le migliori al mondo: ma come poteva esserlo se avevamo il più basso numero di posti di terapia intensiva in Europa, e se avevamo dedicato agli ospedali e alla ricerca una quota troppo bassa del PIL? Ma poi ho pensato che possiamo dire, con orgoglio, che abbiamo i più bravi medici del mondo, capaci di sacrificare i loro affetti e le loro vite per dedicarsi agli altri, a persone sconosciute ma per le quali, quando ce n’è stato veramente bisogno, sono stati in grado di aprire i loro cuori e dare tutto quello che avevano, anche le loro vite. Ho pensato che per proteggere il cervello, ma anche per sconfiggere il virus, era necessario che nella nostra vita la ragione riprendesse il sopravvento, e che da reazioni e comportamenti puramente emotivi, pur se umanamente comprensibili, si passasse a comportamenti razionali, per non permettere al virus di colonizzare anche la nostra mente. Ho pensato che abbiamo bisogno di darci punti di riferimento lontani dall’oggi, per quando le cose cambieranno, ricominciando a progettare la nostra vita con fiducia nella scienza da cui presto avremo una cura e un vaccino, ma mantenendo alto il senso di responsabilità sociale e di solidarietà umana.  La pandemia, anche se soltanto per un breve periodo, ha permesso alla natura di riappropriarsi della Terra e ci ha ridato immagini oramai dimenticate e questo mi ha fatto pensare che l’uomo ha avuto un dono stupendo in confronto agli altri animali e che dovrebbe sentire ciò come un dovere e una missione e usare la sua intelligenza, la sua creatività, le sue tecnologie, l’intelligenza artificiale, per costruire un mondo migliore, senza malattie, senza povertà, senza discriminazioni, con una più equa distribuzione delle risorse, con rispetto per l’ecosistema in cui viviamo. Altrimenti sarà la natura con i suoi virus e le sue carestie a fare definitivamente a meno di noi. Tra le letture di questi giorni ho trovato molto toccante che il grande neurologo e scrittore Oliver Sacks, negli ultimi giorni della sua vita, abbia espresso il desiderio “di un cielo spolverato di stelle”. Un ultimo desiderio di bellezza, di un luogo, un’immagine, in cui la scienza e l’universo si sposano da sempre con l’arte e la poesia: il cielo stellato. A thing of beauty, una cosa bella, per andare in pace. Questo è l’augurio per il nostro incerto futuro, quello di un mondo in cui scienza e umanesimo si incontrino, perché il mondo sia ancora bello e vivibile. Il domani è di chi continua a crederci e con semplicità torna ad alzare gli occhi al cielo.