Il voto tedesco dimostra le Il voto tedesco dimostra le diverse fratture politiche che aleggiano in tutto il nostro continente, ma che nella Repubblica federale tedesca sono in grado di trovare composizione in un sistema partitico solido e in strumenti istituzionali certi come il contratto di governo in caso di coalizione e la sfiducia costruttiva in caso di incertezze nella maggioranza.

Si è chiusa l’era di Angela Merkel, cancelliere federale tedesco per 16 anni (2005-2021), apprezzata leader in Germania, in Europa e nel mondo, denominata dal Time nel 2015 “Chancellor of the free world” . “Das mӓdchen” (la ragazza), così la chiamavano all’inizio della sua attività politica: una  giovane studentessa, figlia di un pastore protestante nella DDR, militante nel partito cristiano-democratico a trazione cattolica e delfina di Helmut Kohl, primo cancelliere (cristiano-democratico) della Germania riunificata. A differenza del suo mentore, unico altro cancelliere tedesco in carica per 16 anni (1982-1998) e sconfitto nella sua ultima competizione elettorale, Merkel ha scelto di non ricandidarsi e così di lasciare la politica senza sconfitte entrando nella storia. In questi anni, la Germania di Merkel è cresciuta economicamente, aumentando il pil pro capite a velocità doppia rispetto a Francia, UK, Canada e Giappone, ma il risparmio individuale è cresciuto a scapito degli investimenti. Si è imposta come la più forte economia europea, ma non sempre in grado di trainare le altre; ha migliorato l’occupazione, favorendo però in alcuni casi il precariato. Merkel ha senz’altro governato l’immigrazione con l’integrazione, gestendo i flussi anche a costo di scendere a patti con il dittatore turco. Nel momento dell’accoglienza ha detto al suo popolo, lanciando un messaggio anche all’UE: «Wir schaffen das» (ce la possiamo fare!).

Merkel esprime una cultura “moderata” che non è sinonimo di conservatrice o di neutralità né, necessariamente, di mediazione. È piuttosto una prospettiva che ricerca il compromesso, molto caro e forse architrave della politica tedesca, e interviene in modo deciso solo dove necessario e possibile; che scommette sulle innovazioni, anche sociali come l’integrazione dei migranti, senza però snaturare la prospettiva nazionale. Uno stile sobrio e pacato accompagnato da parole d’ordine come “stabilità” e “rigore” che oggi, nel voto del 26 settembre 2021, risuona nella sconfitta di estremisti e populisti, rimasti senza argomenti; ma che, dopo 16 anni di governo e in un sistema parlamentare razionalizzato, non ha generato una vera successione. Il suo partito (la CDU-CSU) arriva secondo (24,1%), di poco dietro ai socialisti (SDP, che vincono con il 25,7%), ma per la prima volta nella storia sotto il 30%; un risultato di cui molti ritengono responsabile il candidato cancelliere e le sue gaffe.

Il partito di estrema destra (Alternative für Deutschland) ha ottenuto 83 seggi (il 10,3%), peggiorando di due punti percentuali rispetto alle elezioni precedenti. Sembra aver perso l’aggressività che preoccupava il continente e rimane fermo a proposte attrattive solo per il contesto dell’Est, più svantaggiato economicamente. Die Linke, il partito di estrema sinistra, crolla da circa il 9% al 4,9%, scendendo sotto la soglia di sbarramento del 5% e guadagnando il Bundestag solo grazie all’elezione di tre candidati diretti. Paga un programma estremamente populista, fortemente identitario con ricette antiche: una tassa patrimoniale, l’aumento dell’imposta sul reddito, l’uscita dalla NATO e l’apertura incondizionata delle frontiere. I quattro partiti sono figli di culture politiche più o meno antiche: cristiano-democratici, socialdemocratici e liberali derivano direttamente dal contesto otto-novecentesco, mentre i Verdi esprimono un’identità e una struttura che in Germania esiste dagli anni ’70 del XX secolo. Grazie alla loro storia tengono il sistema ben ancorato sulla concretezza nazionale ed europea, lasciando che pseudoculture o nuove formazioni con identità incerta scivolino nell’irrilevanza.

I Verdi conquistano il 14,8% (118 seggi), fermandosi ben al di sotto delle proprie aspettative: questo dimostra come l’ecologia non sia un tema di settore, ma un’esigenza trasversale da affrontare in modo sistemico e non da un unico punto di vista escludente. Il partito è stato forse vittima della propria retorica da “green economy, bla bla bla” (per citare la stessa Greta Thunberg): ha proposto di anticipare al 2030 la conversione dell’automotive e delle centrali a carbone, di implementare la tassa sulle emissioni con 5 anni di anticipo sull’UE, nonché di istituire un “superministero” con poteri di veto in materie ambientali. È comunque il terzo partito tedesco e, insieme ai Liberali (92 seggi, pari all’11,5%), sarà chiamato a sostenere un cancelliere socialista in una coalizione “semaforo” (rosso-socialista, giallo-liberale, verde-ambientalista).

Dalle prime analisi del voto emerge che la metà dei giovani dichiara di aver votato per i Verdi o per i Liberali. Questa preferenza può essere letta in due modi: come richiesta di pragmatismo, nel senso ambientalista o per l’occupazione e la crescita economica dei giovani; oppure come consolidamento ideologico di nuove idee di società basate, appunto, sull’ambientalismo o sul liberalismo-liberismo. In ogni caso si tratta di due forze che vanno, apparentemente, in senso opposto. Al contrario, la maggioranza dell’elettorato tedesco ha più di 50 anni e, tra questi, la maggioranza ha scelto lo SPD, il partito socialista. Il fattore chiave del successo socialdemocratico sta forse nella risposta alla domanda di sicurezza sociale che questo elettorato manifesta anche con i propri candidati. Il candidato cancelliere dei socialisti, è Olaf Scholz, ex ministro delle finanze con il governo Merkel.

Dal voto si riaffermano le principali famiglie europee (cristiano-democratici con il Partito popolare europeo; socialdemocratici con il Partito Socialista e Democratico europeo; Liberali con l’Alleanza dei Liberali e dei Democratici; i Verdi con l’omonimo gruppo europeo), ma il calo della CDU-CSU rischia di scuotere gli equilibri all’interno del PPE, le cui componenti nazionali risultano dal 26 settembre minoritarie in tutti i principali Stati membri dell’Unione. Un governo socialista-verde-liberale dovrà mediare molto su diversi fronti. Una possibile deroga alla politica di rigore in Patria e alla sospensione del Patto di stabilità e crescita in Europa (proposta dai socialdemocratici e dai verdi) sarebbe maldigerita dai liberali che nel programma puntavano sul tenere i conti in ordine. I Verdi non escludono di proporre di rendere permanente il Next Generation EU (meccanismo di indebitamento comune europeo), su cui i Liberali sono radicalmente contrari. Inoltre, Merkel ha progressivamente rafforzato le esportazioni con la Cina con conseguenze sul sistema produttivo tedesco e i Verdi sono ideologicamente duri con il regime cinese, anche sotto il profilo dei dazi da importazione di prodotti inquinanti.

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