LA POVERTÀ FA BENE AI RICCHI: LE RIFLESSIONI DEL GIOVANE FANFANI SUL MODO DI COMBATTERE LA MISERIA.

 

Non si richiede un livellamento alla condizione del povero, ma uno stato d’animo vicino al povero: il Paradiso – scrive Fanfani – non è né per i ricchi né per i poveri, è solo per i poveri in ispirito. Il ricco deve distaccarsi dai beni che lo circondano e il povero involontario deve amare la sua condizione.

 

Roberto Rossini

 

I poveri, li avrete sempre con voi, diceva Gesù. E anche Amintore Fanfani lo ripete e lo giustifica con un libretto che mi è capitato di leggere per puro caso, scartabellando tra i libri di una delle tante biblioteche popolari delle Acli sui territori. Si sa, a volte non sei tu che trovi i libri, sono i libri che trovano te. E allora eccolo qua, un testo scritto da Fanfani nel lontano 1944 per i tipi di Vita e Pensiero dell’Università Cattolica. Il libro s’intitola “Colloqui sui poveri”: un centinaio di pagine scritte per un’apologia della povertà. Perché i cristiani – chiarisce subito l’autore – non possono credere alla possibilità di eliminare la miseria. Altro che abolizione della povertà! La povertà è un aspetto del dolore e il dolore è ineliminabile dalla vita privata e pubblica. Possiamo ridurla, ma solo gli illusionisti possono pensare di farla sparire. Nessuna utopia, nessuna disperazione, insomma: solo concretezza.

 

E allora vai con le cifre: a Milano, nel periodo 1929-1930, è circa il 9% della popolazione ad essere ammesso alla gratuita assistenza sanitaria e farmaceutica, a Venezia il 25%, in Irpinia poco più del 10% è iscritto alle liste dei poveri; anche il resto del mondo vede più o meno il 10% in povertà. Tanto? Poco? Fanfani dice che il 10 è una proporzione scandalosa, ma ancor di più lo è il fatto che il restante 90 non riesca a svolgere un’azione di redistribuzione della ricchezza come rimedio all’infelicità della decima. Forse il fatto sbagliato è che a muoversi non sia il 90%, ma solo le pubbliche istituzioni a cui deleghiamo questo compito?

 

E qui Fanfani apre un lungo capitolo sul ruolo dello Stato. E – senza mai citare le parole come comunismo o fascismo (anche la parola Stato subisce un embargo, siamo pur sempre nel 1944) – si scaglia contro un sistema che già in Inghilterra nel XVI secolo aveva dimostrato di essere fallimentare. Se deleghiamo tutto alle Pubbliche istituzioni, poco combineranno. Le Pubbliche istituzioni sono importanti, ma lo è ancor di più il ruolo di ciò che noi oggi chiameremmo “società civile”, oltre al semplice cittadino che deve (deve!) fare l’elemosina, perché è un atto pedagogico. Nella concezione cristiana non basta che chi può dia al povero l’elemosina: il cristianesimo al povero non intende tanto procurare sussidi, quanto amore. Non si richiede un livellamento alla condizione del povero, ma uno stato d’animo vicino al povero: il Paradiso – scrive Fanfani – non è né per i ricchi né per i poveri, è solo per i poveri in ispirito. Il ricco deve distaccarsi dai beni che lo circondano e il povero involontario deve amare la sua condizione. Peraltro non si tratta neppure di solo sussidio, perché – citando San Bernardino da Siena – i poveri si sovvengono direttamente ed indirettamente, cioè con l’elemosina e col lavoro.

 

L’amore per i poveri è una caratteristica del cattolicesimo, che contrasta con quanto avvenuto con la riforma protestante e con l’umanesimo, che mostrano orrore verso la povertà, uno stigma che tuttora portiamo con noi: l’individualismo che ne deriva si supera con comportamenti di attenzione e di elemosina, di carità. Ecco perchè lo Stato non basta.

 

Peraltro Dio ha comunque cura dei “suoi poveri” (strepitoso l’aneddoto del gatto che “porta” da mangiare: la mano di Dio?): ma tocca invece a noi intervenire con forme adeguate ai tempi. La cura che Dio ha dei suoi poveri – scrive – mostra che l’opera elemosiniera dei ricchi non è indispensabile: è soltanto necessaria alla salute eterna del ricco. Quindi la povertà è educativa per tutti, ma in particolare per i ricchi. Per il resto, siccome la povertà deriva da cause artificiali e naturali, bisogna cercare di eliminare quelle artificiali e limitare quelle naturali.

 

Insomma, le parole di Fanfani – almeno cinque – ci sarebbero utili anche oggi: lavoro e sussidi, ente pubblico ed ente privato, educazione. Su queste cinque parole potremmo costruire una visione cattolica e contemporanea, senza strumentalizzare il Reddito di cittadinanza o mostrando un falso pietismo verso i poveri: anzi verso le persone in condizioni di povertà. Recuperare i classici è un modo per superare il tempo e avvicinarsi alle politiche con l’occhio di chi sa che a volte non c’è una soluzione unica, semmai una storia delle soluzioni che più o meno opportunamente possiamo mettere in campo.