LA SCOMMESSA DI UN’ALTERNATIVA DEMOCRATICA: PERCHÉ NON ROMPERE L’ASSEDIO DEL VECCHIO BIPOLARISMO?

Fra una destra baldanzosa e quella parte di sinistra snobistica, attratta più dalle narrazioni mediatiche che dai fatti, c’è una politica. Sta a chi ci crede, svilupparla nel solco dell’esemplare esperienza di governo di Draghi.

 

La presentazione della prima legge di bilancio del governo Meloni ha iniziato a rivelare quale sia lo spazio percorribile per una opposizione puntuale, concreta, propositiva, non ideologica nonostante la grande distanza di cultura politica rispetto alle forze che compongono l’attuale maggioranza di governo. Qualche giorno fa Lucio D’Ubaldo su twitter sosteneva che l’opposizione dovrebbe ricomporsi attorno a un’idea di rilancio della politica di Draghi. Questa anche al sottoscritto pare la via maestra da percorrere per quella parte di opposizione cui interessa realmente cercare di interpretare meglio di quanto sta facendo il governo, la continuità con la strada tracciata da Draghi. Un obiettivo il cui esito appare tutt’altro che scontato non foss’altro per la dichiarata indisponibilità di alcuni settori della sinistra e del M5S, a rinunciare a un approccio intransigente e sconnesso dalla realtà, rispetto alle principali questioni programmatiche. Ma quest’ultimo dato, ovvero la constatazione che non a tutta la sinistra interessa una visione popolare della politica, preferendo mirare a compiacere le priorità del discorso pubblico fissate in modo verticistico, per non dire piramidale, dal sistema dei media (anche se ciò può comportare roboanti cortocircuiti come insegna il caso Soumahoro), può addirittura trasformarsi in un elemento di chiarificazione, che aiuta a focalizzare meglio la linea politica da costruire.

Fra una destra baldanzosa e quella parte di sinistra snobistica, attratta più dalle narrazioni mediatiche che dai fatti, c’è una politica. Sta a chi ci crede, svilupparla.
Dal lato del governo, se molti problemi sono stati risparmiati all’Italia in seguito all’esito delle scorse elezioni, ciò è dovuto principalmente al fatto che il governo Meloni si è trovato nella invidiabile situazione di poter beneficiare di una eredità unica lasciatagli dal governo precedente, costituita da prestigio internazionale riconquistato, solidità dei conti pubblici, economia relativamente meno colpita dalle crisi, rispetto agli altri Paesi europei. Le politiche economiche ed energetiche sono rimaste quelle di Draghi, che costituiscono una realistica mediazione fra l’interesse nazionale, l’interesse europeo (franco-tedesco) e le cose che stanno a cuore agli Stati Uniti, e senza dispiacere troppo al Resto del Mondo, anzi. Invece quello che questo governo ha fatto di suo, in un lasso di tempo ancora troppo breve per poter formulare giudizi articolati, è parso più foriero di polemiche, e di qualche figuraccia, che di sostanza.

Dall’altro lato, quello di certa sinistra al caviale, ci si è rifugiati in una affrettata e preventiva levata di scudi sulle scelte del governo sui temi connessi alla manovra finanziaria senza mostrare una sufficiente capacità di cogliere la posta in gioco di questioni che sembrano contingenti e che invece disegnano una prospettiva. E allora proprio di qui credo occorra ripartire per costruire una politica, non dei due forni, bensì tra due fuochi, quello della destra presidenzialista e quello di una sinistra radical-chic. La destra, come sostiene con grande lungimiranza Guido Bodrato nel suo attualissimo libro “Le stagioni dell’intransigenza”, sugli anni del Ppi di Sturzo fra fascismo e bolscevismo, persegue un disegno di governo forte come risposta ai cambiamenti in corso, non meno dolorosi per le classi popolari di quelli causati dalla Grande Guerra.

La sinistra ormai pare aver delegato alle gerarchie economiche la definizione dei tratti fondamentali del modello di società per il futuro, pagando per questo dazio al suo storico bacino elettorale che una volta era costituito da ceti lavoratori e popolari.

In mezzo, o più propriamente al centro, esiste uno spazio per quanti, cattolici popolari e altre culture politiche democratiche, intravvedono i pericoli di una mera gestione dei grandi cambiamenti (quali la ricerca di un assetto multipolare per gli equilibri globali, le transizioni ecologica e digitale, la questione energetica, …) nel senso impresso da alcuni centri di potere internazionale, senza la ricerca almeno di una necessaria mediazione. E che intendono porre la necessità di coniugare le transazioni ecologica e digitale con la sostenibilità sociale di tali transizioni, impegnandosi a definire proposte concrete di revisione di un modello tecnocratico di governo, basato prevalentemente su piani pluri-decennali e definito in gran parte in ambito accademico e a livelli molto alti del potere economico internazionale, per integrarlo con le osservazioni e le proposte che arrivano dall’esperienza e dai territori. E, infine, che sappiano tenere aperti questi progetti all’imprevedibilità e alla novità della Storia, ai progressi scientifici e tecnologici in modo che quanto l’enorme pressione mediatica cerca ora di far passare come inevitabile e necessario non produca incidenti di percorso irrimediabili e non corra il rischio di trasformarsi, come tutte le utopie imposte da pochi senza il consenso popolare, in un incubo di proporzioni storiche. Ma per scongiurare tali rischi serve una politica che, come ha dimostrato l’esemplare esperienza di governo di Draghi, né la destra né l’attuale sinistra sembrano in grado di esprimere.