Cresce la consapevolezza che negli opposti schieramenti ci siano formazioni politiche e partiti “di centro” capaci di spezzare la logica artatamente conflittuale. Se così non fosse, l’alternativa sarebbe lo scontro tra due coalizioni, una (a destra) condizionata dall’estremismo, l’altra (a sinistra) dal massimalismo, con in più l’influsso del populismo grillino.

Enrico Letta, chiudendo la festa dell’Unità a Bologna, ha svolto un intervento importante e degno di nota perchè ha scrutato il futuro senza perdersi in considerazioni nostalgiche o rivolte al passato. E lo ha fatto su più fronti. Ora, al di là delle questioni di partito – le beghe infinite tra le correnti di quel partito, le priorità programmatiche su cui concentrare l’attenzione a cominciare dallo Ius soli, il voto ai sedicenni e il solito DDL Zan – quello su cui vale la pena soffermarsi è quando Letta pone il tema politico di fondo in vista delle prossime elezioni generali nazionali. E cioè, il tripolarismo, dopo il più che dimezzamento elettorale del partito di Grillo e di Conte, è finito e si ritorna al bipolarismo che ha caratterizzato la seconda repubblica sin dal suo inizio. Con una differenza di fondo, però, ammessa – almeno così emerge da alcuni organi di informazione – dallo stesso segretario nazionale del Partito democratico. Ovvero, si tratta di “bipolarismo estremo”. Un bipolarismo, cioè, che non prevede “forze intermedie” perchè, per dirla ancora con Letta, “o si sta di qua o si sta di là”. 

Non c’è spazio, detto in altri termini, per forze di centro o moderate o di cerniera. Cioè di quelle forze che storicamente hanno declinato concretamente nel nostro sistema quella “politica di centro” utile ed indispensabile, nonchè decisiva, per evitare la radicalizzazione della lotta politica italiana che porta solo danni e che danneggia la stessa qualità della nostra democrazia. Certo, adesso c’è una sorta di sospensione della politica e di commissariamento sostanziale nell’azione di governo, e per fortuna che è finita così, per i noti motivi che tutti ben conosciamo. Al punto che c’è una distinzione, come ci ricordava giustamente alcuni giorni fa Antonio Polito, tra “l’azione politica dei partiti” e la “concreta azione politica di governo”. Una distinzione, va pur detto, che ha depotenziato il ruolo e la funzione dei partiti e le rispettive classi dirigenti.

Ma, al di là della situazione del Governo, è del tutto evidente che questa situazione non può durare a lungo perchè, prima o poi, la politica ritorna. O meglio, per essere più precisi, ritorna la “politica dei partiti”. Ed è proprio su questo versante che un “bipolarismo estremo” non può essere la carta vincente, semprechè si voglia rafforzare la nostra democrazia e la stessa azione di governo. Perchè se la radicalizzazione della politica diventa la cifra distintiva del sistema politico italiano, inevitabilmente ci troveremmo di fronte ad un permanente conflitto sociale, politico, culturale e forse anche addirittura etico. Senza contare ciò che si trascina dietro la stessa radicalizzazione del conflitto politico. E cioè, la delegittimazione morale, personale e politica dell’avversario, cioè del nemico. Quello, del resto, che hanno fatto i 5 stelle sin dalla loro nascita con la politica del “vaffa day” e la criminalizzazione politica di tutto ciò che non era riconducibile al loro universo politico e valoriale.

Ecco perchè si rende sempre più necessario ed indispensabile che, all’interno dei due schieramenti, – perchè saranno solo più due e non tre come giustamente dice Letta – ci siano formazioni politiche e partiti “di centro” che siano in grado, più attraverso la loro azione politica che non il loro specifico peso elettorale, di contribuire a ridurre se non addirittura a spezzare quella logica conflittuale che mina alla radice il nostro impianto democratico e costituzionale. Perchè altrimenti l’alternativa non potrebbe che essere uno schieramento dominato e condizionato dall’estremismo della destra da un lato e, sul versante opposto, dal massimalismo della sinistra e, soprattutto, dal populismo e dal giustizialismo manettaro dei 5 stelle.

Per questi semplici motivi quella “politica di centro”, adesso, deve “scendere in campo”, per dirla con una celebre espressione del passato. E, con essa, i rispettivi partiti che sappiano incarnarla concretamente nei due campi che si confronteranno in vista delle elezioni politiche. Non per il bene di quei partiti ma, al contrario, per la qualità della nostra democrazia, l’efficacia del nostro governo, la stabilità del nostro sistema politico e la credibilità delle nostre istituzioni democratiche.