In quest’epoca di imbarbarimento ed estemporanee rivendicazioni sovraniste “dè noantri”, è un dovere ricordare che il primo in assoluto a ricostruire e ricostituire lo stato di diritto in Italia fu uno straniero: Carlo Magno. Probabilmente, coloro che oggi inneggiano al “sovranismo” ignorano che tredici secoli fa (parliamo del Settecento d.C.) erano state le dinastie franche dei Merovingi, dei Pipìnidi e dei Carolingi a riunificare il paese e restituirgli l’autonomia sottrattale dalle invasioni. La sottile differenza è che allora la sovranità geopolitica e la difesa dei confini erano un istituto imprescindibile circa la stabilità, le relazioni tra i popoli e i rapporti tra gli stati ancora in embrione (costantemente in guerra). Stati che si stavano costruendo o si stavano lentamente autodeterminando avviandosi verso l’età moderna, compresa quella delle scoperte e dei lumi. La grandezza del personaggio consistette nel saper cogliere i cambiamenti sociali, le aspirazioni della gente, nel far rispettare la libertà di culto e preservare le identità a scapito degli abusi e dell’impoverimento che determinarono l’arrivo delle tribù nordiche nell’area del Mediterraneo.

Detto in spiccioli, negli anni Duemila l’espressione “sovranismo” è un neologismo vecchio e decrepito (inevitabile l’ossimoro) sia dal punto di vista semantico che sotto l’aspetto politico in senso stretto. Fermo restando che il termine è ben diverso dall’aggettivo “sovranità”, nell’era dell’apertura delle barriere (se non altro monetarie e commerciali) l’invocazione alle misure sovraniste, in Italia, si è trasformata in un conflitto diplomatico-istituzionale secondo cui l’Europa è il nemico da abbattere. Di fatto, tale contrapposizione altro scopo non ha se non quello di “andare contro” (ergo scontrarsi) gli altri partners europei e in misura più estrema, verso lo straniero in senso astratto. In realtà, sono proprio alcune politiche interne intavolate oggi a risultare più obsolete e oscurantiste di altre messe in atto più di mille anni fa. Ha senso oggi parlare di militarizzazione dei confini in assenza di attacchi armati?

A suo tempo Carlo Magno ripristinò la legalità intuendo che in un’epoca di scontri etnici e di conquiste, oltre alla difesa, l’arma più micidiale che potesse essere usata contro le guerre era un nuovo corso civico e civilizzatore, oltre che politicamente progressista. I valori estinti in Italia dopo il 476 vennero di fatto restituiti – almeno per buona parte – ricorrendo agli investimenti nelle scuole, nelle associazioni di volontariato e salvaguardando l’indipendenza della Chiesa di Roma (il suo fu un ruolo fondamentale nella lotta all’analfabetismo e all’ignoranza), di gran lunga l’istituzione più importante del territorio. Chiesa che ricambiò durante la Pasqua del 774 – nella persona di Papa Adriano I – riconoscendo al re franco il titolo di nuovo imperatore dei romani a seguito di una cerimonia avvenuta sulle scalinate di San Pietro.

E così Carlo Magno, figlio di Pipino il Breve (primo re dei Carolingi), riunificò quelle regioni che alcuni decenni prima i suoi avi avevano contribuito a sottrarre al dominio dei barbari : si trattava di un’area compresa da Milano a Roma, la quale fu inglobata in un’unica amministrazione, denominata Regno Italico. Il modello politico, sociale e pedagogico carolingio fu adottato in tutta Europa, che riconobbe al sovrano d’oltralpe un ruolo istituzionale di primissimo piano e del tutto innovativo. Al punto che è da attribuire a lui l’inizio della diffusione delle traduzioni dei testi (in primo luogo quelli Sacri) dal latino all’anglosassone. Una svolta epocale. A fine Settecento, Carlo, una volta affidato il settore dell’istruzione allo scholasticus e al magisterum scholarum, insigniti di un ruolo giuridico-legale estremamente importante, rese obbligatorio e gratuito l’insegnamento presso tutti i territori a lui sottoposti, elemento che fece registrare una forte crescita del numero e della qualità delle materie di studio (compresa la lingua latina).

Ne conviene tuttavia che è sacrosanto mantenere la centralità dello Stato nazionale evitando di trasferire poteri a terzi, specie riguardo ai movimenti dei capitali, ma per questo occorre la politica e non il protezionismo o l’invocazione al reticolato militare. Proteggere le nostre frontiere da un’immigrazione incontrollata, da potenziali fuorilegge e da speculazioni è d’obbligo, ma con iniziative adeguate e chiamando le cose con il loro nome, senza scomodare il valore del patriottismo o storpiare terminologie riferite a un istituto fondante come quello della sovranità nazionale. Che è ben diverso, come ripete Papa Francesco, dal rifiutare un tozzo di pane a tante famiglie di poveracci che scappano dalle bombe e dalla schiavitù.