La quasi certa elezione di Enrico Letta a neo segretario del PD induce ad alcune riflessioni che non possono essere lasciate cadere nel silenzio.
Lucio D’Ubaldo, dalle colonne de “Il Domani d’Italia”, ha messo a fuoco il vero problema della politica italiana nell’ambito del centrosinistra: “riorganizzare il centro, ripensare la sinistra”. Direi anche reinventare la sinistra.

La questione non è di poco conto. La segreteria PD targata Zingaretti ha messo chiaramente in luce come vi sia ancora oggi una distinzione (che non vuol dire separazione) tra le idee della sinistra e quelle di un centro che fa riferimento al cattolicesimo democratico.

Dal 2007 ad oggi si è tentato di conciliare le due culture con la scorciatoia dell’antiberlusconismo, ma evidentemente questo non porta nella politica attiva ad un riconoscimento di rappresentanza fondato su motivazioni ideali.

La realtà politica degli ultimi anni ha chiaramente dimostrato che sommare culture politiche diverse (ma non inconciliabili) non porta né ad una stabilità dei Governi, né ad una posizione politica identitaria indispensabile per fronteggiare la nuova destra razzista.
Oggi il Partito Democratico sconta proprio questa mancanza di condizione identitaria (che da molti era vista come un valore), perché passare da Zingaretti a Letta non è sicuramente la stessa cosa.

L’ormai ex segretario del PD credeva in una sorta di riorganizzazione del Partito su idee e valori propri della sinistra, accantonando quella matrice cattolico-democratica che pure è presente, anche se in forma decisamente trasformista.

Ma nel far questo, Zingaretti ha dimenticato tutto un sub-strato culturale e ideale che era alle radici di una posizione di sinistra: l’umanesimo sociale, il riscatto degli ultimi, l’emancipazione del mondo del lavoro, la questione economica dei lavoratori e dei salariati.
La sua idea era quella che non si discosta molto dalle socialdemocrazie europee; è possibile convivere con il capitalismo e con il conseguente neo-liberismo, perché bisogna essere dentro questo sistema per correggerne gli errori di fondo.

Del resto, non si tratta di una posizione che si estranea dal Partito creato a sinistra da D’Alema, Bersani e Speranza. Zingaretti aveva immaginato una reunion con queste posizioni, ma dimenticando però che una tale operazione necessitava di un cambio di rotta politico-ideale.
Da qui la crisi della sinistra e del conseguente venir meno dell’elettorato di riferimento, anzi dello spostamento di quest’ultimo verso posizioni, per certi versi, assurde e populiste.
Oggi il PD cerca il salvataggio affidandosi a mani esperte e moderate, ma lo fa in funzione di una sopravvivenza politica e di potere che non è lungimirante, anzi è di breve durata.
Perché la crisi del Partito Democratico è soprattutto una crisi identitaria. Senza valori forti di riferimento non si va da nessuna da parte.

E allora, a cosa serve un Partito di tale natura? Non è forse meglio riprendere la propria storia, rivederla e ancorare una proposta politica in funzione delle classi sociali disagiate, lasciando nel contempo ad un centro politico la legittimità di riorganizzarsi per promuovere da diverse posizioni una politica in funzione del bene comune?