UNA NUOVA EUROPA PER COSTRUIRE IL MONDO FUTURO.

 

Dobbiamo portare in dote, nei rapporti con il mondo, il soft power italico guardando oltre le macerie e le miserie della politica domestica. Abbiamo le carte in regola. L’esempio straordinario di De Gasperi si lega idealmente, lungo un tragitto di elaborazione e aggiornamento programmatico-culturale, alla bella testimonianza di Sassoli. Vale anche la pena rileggere le carte che sono a fondamento della costruzione del Partito popolare europeo: siamo lontani anni luce dal sovranismo. Perché non eleggere nel 2024 un Parlamento che sia espressione di un collegio unico europeo, senza “filtri” nazionali?

 

Umberto Laurenti

 

 

Chissà se Alcide De Gasperi ha seguito dall’aldilà la riunione dei Capi di Stato e di Governo svoltasi pochi giorni fa a Praga, per la nascita della Comunità Politica Europea, una sua proposta per la quale si era tenacemente battuto nel 1951, non riuscendo però a vederla realizzata. Questa volta la proposta veniva dal presidente francese Macron, ed abbiamo letto sui giornali del debutto di questo “nuovo Organismo”: un forum intergovernativo che dovrebbe favorire e rappresentare “l’intimità strategica tra i Paesi Europei”. I governanti di 44 Paesi (Russia e Bielorussia non erano invitati) si sono riuniti il 6 ottobre scorso per “organizzare l’Europa, dal punto di vista politico, oltre il perimetro dell’Unione Europea” ma in realtà il comunicato ufficiale emanato a fine incontro, parla più modestamente della “volontà di promuovere il dialogo politico e la cooperazione per affrontare questioni di interesse comune in modo di rafforzare la sicurezza, la stabilità e la prosperità del continente europeo”: un po’ poco per giustificare e dare credibilità ad un nuovo Organismo Internazionale, in una fase che già vede terribilmente appannata l’immagine dell’Onu, incapace di influire sull’andamento della crisi Ucraina. Non so se abbia ragione Sergio Fabbrini che sul Sole 24 Ore del 9 ottobre, sbrigativamente liquida l’iniziativa come espressione della logica sovranista delle destre europee, favorevoli a ridimensionare l’Unione Europea a semplice coordinamento tra le Nazioni pienamente sovrane.

 

Certo è però che, al di là di tutte le buone intenzioni anche dei non-sovranisti, l’espandere il perimetro dell’Europa Unita, non l’ha rafforzata, e non aiuterebbe il disegno unitario politico un ulteriore allargamento, che meglio dovrebbe essere chiamato annacquamento. Non ritengo quindi di esagerare se definisco “bizzarra” la proposta lanciata nel maggio scorso da Macron ed ora recepita senza entusiasmo ma anche senza un tentativo di approfondimento, dai Governi interessati, nel totale disinteresse dell’opinione pubblica, complice l’assordante silenzio dei media. La Comunità Politica Europea reclamata da De Gasperi, analogamente alle proposte dei “padri fondatori” ed alle istanze federaliste, immaginava una Comunità solidamente unita e formata da una decina di Paesi Europei accomunati da valori, obiettivi, pratica democratica, solidità istituzionale, modelli socioeconomici. Sappiamo bene come è andata nel concreto: la visione federalista ha segnato il passo, e ci si è accontentati di rafforzare l’integrazione economica e sociale, lasciando in vigore il principio dell’unanimità dei Governi e del diritto di veto, allargando sempre di più i confini esterni dell’Unione, senza abbattere davvero i confini interni, rinunciando al percorso della integrazione politica, istituzionale e culturale.

 

Doppiamente “bizzarra” la proposta di Macron, visto che un Organismo internazionale con finalità simili, partecipato da 46 Stati membri (compresi ovviamente i 27 dell’Unione Europea, e praticamente tutti gli altri presenti a Praga, dal Regno Unito alla Turchia, e con l’estromissione analoga di Russia e Bielorussia) esiste dal 1949 e funziona egregiamente, organizzato con un modello istituzionale che prevede come organo decisionale il Comitato dei Ministri dei Governi membri, ma anche una Assemblea Parlamentare con rappresentanze di tutti Paesi ed una Assemblea  dei “Poteri locali e regionali”, una Conferenza delle ONG Internazionali ed infine la notissima Corte dei Diritti dell’uomo, il tutto con sede a Strasburgo, in Francia. Come è possibile che nessuno abbia sollevato questi dubbi a livello governativo o parlamentare?

 

Lo so, potrà apparire secondario tutto ciò, rispetto alle priorità della guerra Russia-Ucraina, della crisi energetica, del rischio di uso bellico del nucleare, delle criticità climatiche ed ambientali,  del costante divario tra Nord e Sud del mondo, e così via, della incapacità di prevedere ed anticipare le diverse crisi che si vanno accumulando ed intensificando, un problema non certo del solo pensiero occidentale, bensì globale, tanto da non riuscire finora ad intervenire per correggere il modello  che regola gran parte della produzione, degli scambi, dell’utilizzo delle risorse, in primis quelle naturali.  So bene che gran parte dei politici ha rinunciato da tempo a riflettere sulla sempre più debole incisività delle Istituzioni multilaterali, in primis dell’ONU, sul ruolo imprescindibile dei movimenti culturali e sociali e dei popoli stessi, sul recupero di una visione dello sviluppo che non si regga sull’unico criterio del profitto e del potere incontrollato delle multinazionali, della necessità di una ricerca condivisa tra le grandi culture/civiltà del mondo, sulle modalità per la coesistenza equilibrata a medio e lungo termine.

 

La comunicazione sempre più semplificata dai media, sta accreditando una frettolosa e rinunciataria identificazione dell’Occidente come un “unicum” socio-culturale-politico, cosa non vera ed a cui non dobbiamo rassegnarci, sia perché nel cosiddetto Occidente convivono da sempre culture diverse che interagiscono tra loro, alcune delle quali abituate storicamente ad accettare l’ibridazione culturale, ed anche perché non deve passare il concetto semplificatorio di un Occidente omologato ed a guida Usa, poiché questo è un modello che attiene situazioni strategico-militari e già esiste e si chiama NATO. Per noi poi è autolesionismo il dimenticare il tema Europa e Mediterraneo, dando per cosa ininfluente ed irreversibile l’assenza politico-diplomatica dell’Unione Europea, la quale sembra aver rinunciato al proprio sogno di unione politico istituzionale, accontentandosi di esprimere indirizzi ed attuare misure, pur necessarie, economiche.

 

La guerra in corso tra Ucraina e l’invasione russa che l’ha determinata, è il colpo di coda del vecchio equilibrio mondiale basato sui blocchi di potere, quella che un tempo si chiamava politica imperiale, con la rinascita dei nazionalismi ed il ricorso alla forza militare, opzioni che l’umanità sembrava aver archiviato o almeno limitato ai conflitti locali. Non a caso questa guerra dagli esiti ancora indecifrabili vede convivere l’utilizzo massiccio delle nuove tecnologie ed il ricorso a brutalità fisiche proprie d’altri tempi, il tutto vissuto da gran parte dell’opinione pubblica come un virtual war game.

 

È innegabile la pressoché totale assenza dell’esercizio di un ruolo politico-diplomatico, nella gestione di una situazione conflittuale a livelli critici mai finora registrati, da parte dell’Unione Europea, con l’opinione pubblica concentrata sulle conseguenze economiche e sociali della guerra, anziché sulle cause ed i modi per fermarla. In particolare, in Italia, Parlamento devitalizzato e forze politiche sempre meno rappresentative, si apprestano ad affrontare il tema europeo “dopo” la soluzione degli equilibri di potere post-elettorali, con un antistorico ritorno alla retorica della “nazione”, nonostante ne sia evidente l’inconsistenza a fronte della crisi sia economica che politica in atto, e nonostante i confini siano solo “immaginari” a fronte dell’espandersi dei virus e dell’inquinamento atmosferico, anche nucleare.

 

Noi italiani sappiamo benissimo che l’Italia unita si è avuta anche perché lo ha voluto il “concerto degli Stati Europei”. Davvero possiamo pensare che uno staterello come il Piemonte poteva arrivare, certo anche con il sostegno e la mobilitazione della “minoranza del pensiero” risorgimentale di ispirazione mazziniana e le scorrerie delle bande irregolari garibaldine, a conquistare l’intera penisola senza il consenso delle potenze europee? E proprio questa intuizione coltivata ed assecondata con manovre diplomatiche ed atti concreti certifica la grandezza di Cavour come statista. Il biennio cruciale che consente al piccolo Piemonte di uscire dall’emarginazione ed abbandonare momentaneamente la tradizionale inimicizia con l’Austria è il 1854-1855, con la crisi e la guerra di Crimea e l’invio a fianco delle potenze europee contro la Russia, di un corpo di spedizione piemontese.

 

Agli oppositori che nel difficile dibattito parlamentare rinfacciano al Governo di aver abbandonato le aspettative di unificazione della Penisola per andare a combattere in una lontana landa, Cavour ribatte in maniera definitiva e perentoria che il Piemonte è parte dell’Occidente e dell’Europa e solo in quell’ambito si troverà la soluzione del problema italiano. E ad un parlamentare genovese che lamenta la perdita economica per i suoi elettori, noleggiatori di navi per il trasporto del grano russo verso l’Europa occidentale, visto che lo Zar ne aveva disposto il blocco, Cavour risponde che la situazione sarebbe di facile soluzione se il problema fosse solo l’approvvigionamento del grano, visto che lo Zar non vorrà tenerselo ancora per molto e farlo marcire. Noi sappiamo oggi che il problema non è solo il grano, ma sempre più l’approvvigionamento e quindi la autosufficienza delle fonti energetiche, E sappiamo pure che rispetto alle baionette dei soldati allora inviati in guerra, ci sono purtroppo i rischi della guerra nucleare globale. Sappiamo anche che gli attori sul campo sono sempre gli stessi: la Russia, la Turchia, allora Impero Ottomano, l’Europa, più debole di allora. Dovremmo studiare di più la storia e la geografia, in modo di non accorgerci solo all’improvviso e troppo tardi della esistenza dell’Ucraina, ed in modo anche di constatare che la Crimea è rimasta ancora un nervo scoperto nei rapporti tra Russia ed Europa.

 

Tornando ai giorni nostri, possibilmente accompagnati dalla conoscenza del passato e dalla consapevolezza della complessità sempre più accentuata della situazione geopolitica, mi pare di poter affermare che il “nostro” progetto per una Europa unita politicamente e militarmente, oltre che sul piano dell’economia reale, attenta ai bisogni sociali, è tuttora valido ed attuale, anche a beneficio della pace e sicurezza nel Mediterraneo, e dello sviluppo per il Sud del Mondo. Dico “nostro” poiché chi si riconosce nella storia politica dei cattolici democratico-popolari e nei valori che ne hanno ispirato la presenza nelle Istituzioni, non può e non deve rinunciare all’obiettivo di una Europa federale, unita innanzitutto sul piano politico-istituzionale.

 

La prematura scomparsa di David Sassoli è stata una gravissima perdita personale per tutti noi che eravamo a lui legati da amicizia e condivisione di idee, ma ha pure privato l’Italia e l’Europa della voce di chi più nitidamente aveva ribadito ed aggiornato quella nostra posizione (1). Davide Sassoli aveva infatti, da Presidente del Parlamento Europeo lucidamente cercato soluzioni in grado di preparare un futuro istituzionale migliore: “Per prevenire crisi future e migliorare le nostre risposte, il mondo di domani dovrà più che mai essere strutturato intorno alla cooperazione, al multilateralismo ed alla solidarietà” (2).

 

Occorre coltivare la speranza che tutto ciò non vada disperso e possa manifestarsi e crescere una proposta politico-programmatica che abbia il coraggio di parlare ai cittadini europei, anziché solo agli italiani, con l’obiettivo di avere presto un Parlamento europeo composto dai rappresentanti di forze politiche europee, transnazionali. Occorre infatti superare le barriere nazionali, anche in politica, anche nella strutturazione e nelle proposte dei partiti; non salveremo le nostre idee ed i nostri valori, né riusciremo ad immaginare e costruire una proposta per il futuro, continuando con piccole manovre tattiche, furbe fughe in avanti, ridicole nostalgie di tempi irripetibili: dobbiamo guardare “oltre”, ed il nostro più naturale e rassicurante approdo, che consenta al contempo di confrontarci con i protagonisti di un assetto planetario in rapida evoluzione, è l’Europa.

 

Un impegno politico nuovo ma radicato alla storia ed ai valori, sarebbe positivo in funzione di un’Europa realmente unita anche nel suo assetto politico-istituzionale, ed al contempo occasione e stimolo per una rigenerazione delle forze politiche, finalmente orientate a legiferare e governare in maniera e con ottica europea. Credo pure che ciò potrebbe favorire anche la possibilità per il Partito Popolare Europeo, di esprimere una proposta politica più “plurale” e rappresentativa, recuperando la partecipazione di espressioni politiche significative, in particolare quella della ex-Margherita fuoriuscita nel 2004 e poi troppo frettolosamente confluite nel “contenitore socialista”.

 

Essendo io, per banali motivi anagrafici, rimasto unico vivente tra i DC italiani che sottoscrissero gli Atti fondativi del PPE (3), ho il dovere di testimoniare, anche se per motivi di spazio non posso farlo in questa sede, che le Tesi programmatiche approvate nel 1978 all’atto della costituzione del Partito Popolare Europeo, non sono assolutamente di destra, nazionaliste, sovraniste, arretrate, conservatrici. Tutt’altro, e molte di quelle proposte sono pienamente valide, purtroppo non ancora messe in atto.

 

Abbiamo le carte in regola, fornite dal nostro passato di presenza politica in Italia ed in Europa, e peraltro la storia millenaria della civiltà italica (4), che è anche europea, testimonia che è possibile la condivisione dei valori e degli obiettivi comuni, vissuti in solide comunità locali ma con l’attitudine dell’approccio globale per comprendere le altre culture e civiltà, recependone stimoli utili a costruire il futuro. Infatti l’alleanza tra cultura e tecnologia, genera, rinnova e rafforza la piena cittadinanza, superando i confini di spazio e tempo, dando ai cittadini, alle Istituzioni ed anche alle realizzazioni dell’ingegno e del lavoro, quindi al modo di vivere e rapportarsi, una impronta moderna ed al tempo stesso con radici riconoscibili. Come obiettivo concreto nel futuro di una Europa rafforzata nelle sue istituzioni, vedo un Parlamento eletto dall’Europa identificata come circoscrizione elettorale unitaria, e quindi  con liste e forze politiche europee, con parlamentari eletti per rappresentare il popolo europeo, e nell’immediato, auspico la presenza di candidature di “italici” nelle liste dei vari Paesi Europei già dalle elezioni del 2024, per lasciare un’impronta politica ed al contempo culturale.

 

 

(1)https://ildomaniditalia.eu/persona-grata-gli-italici-con-sassoli-il-senso-di-una-proposta-di-speciale-valore-simbolico/

(2)https://ildomaniditalia.eu/quale-europa-per-il-futuro-che-ci-attende/

(3)Firmatari italiani dell’Atto costitutivo del Partito Popolare Europeo 7.3.1978: Zaccagnini, Piccoli, Andreotti, Colombo, Granelli, Rumor, Falcucci, Laurenti, Antoniozzi.

(4)https://www.quotidianoarte.com/category/soft-power-italico/