Roma, 7 set. (askanews) – Dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia a Roma, ai Musei Capitolini, per la prima volta in un museo pubblico della Capitale arriva un dipinto di Jacopo Robusti, detto Tintoretto, pittore tra i massimi esponenti del Rinascimento veneziano. La sua “Deposizione di Cristo” esposta nella Pinacoteca Capitolina fino al 3 dicembre 2023 grazie a un accordo di collaborazione con il museo veneziano a cui stato prestato il “Battesimo di Cristo” di Tiziano.
Per il Sovrintendente Capitolino ai Beni Culturali, Claudio Parisi Presicce l’arrivo dell’opera anche un’occasione per scoprire un linguaggio figurativo assente nelle collezioni di Roma. “Mancava a Roma un dipinto di questo capostipite di una famiglia che ha prodotto tantissimi dipinti; un dipinto particolarmente prezioso, perch Tintoretto nella maturit recepisce la capacit figurativa di tradizione michelangiolesca e la capacit coloristica di Tiziano e nella sintesi affronta un linguaggio del tutto nuovo, che poi erediter suo figlio Domenico”.
L’opera, spiega la curatrice, Federica Papi, stata realizzata nella maturit di Jacopo Tintoretto, nel 1560/2. Raffigura il momento in cui il corpo di Cristo senza vita viene rimosso dalla croce, mentre Maria sviene tra le braccia di una donna.
” un’opera geniale, rompe gli schemi per una visione immaginaria di un soggetto non facile perch non narrato nei Vangeli e che lui interpreta con grandissima libert: si tratta di una deposizione ma allo stesso tempo rappresenta un compianto, e gia l’unione di questi due soggetti una grande novit iconografica”.
Il dipinto era nella Chiesa di Santa Maria dell’Umilt a Venezia, demolita nel 1821, stato confiscato dal demanio fino ad arrivare alle Gallerie dell’Accademia, accanto a capolavori di Tiziano e Bellini. Nella Pinacoteca capitolina stato messo in risalto accanto ai dipinti del figlio Domenico Tintoretto, l'”Incoronazione di spine”, il “Battesimo di Cristo”, la “Maddalena penitente” e la “Flagellazione” al momento in prestito e ad altri maestri della scuola veneta.
Domenico eredit la bottega del padre e lavor a stretto contatto con lui fin da giovane. “Abbiamo voluto far rincontrare Jacopo con il figlio in una situazione romana che non hanno mai vissuto”.