A Fauntainbleu Italia e Francia stipulano la cosiddetta Convenzione di Settembre. Da ciò deriva la scelta di avvicinarsi a Roma, ultima e decisiva meta per completare l’unificazione nazionale. Firenze diventa la capitale del Regno e a Torino scoppia la rivolta.
Lo scontro in Aspromonte del 29 agosto 1862 tra camicie rosse ed esercito regolare italiano, motivato dalla manifesta volontà di Garibaldi di puntare su Roma per occuparla, non fece altro che irrigidire Napoleone III, il quale minacciò un intervento militare nel caso si verificasse un attacco contro Papa Pio IX. Quell’episodio, che provocò il ferimento e l’arresto dello stesso eroe nizzardo, destò vivissima preoccupazione in tutta Italia. L’esecutivo di governo dovette necessariamente e immediatamente ricucire i rapporti con Parigi.
In realtà, non erano solo le relazioni italo-francesi a rimanere condizionate dallo scacchiere geopolitico determinatosi nell’estate del ’62, ma poteva prospettarsi, visti gli eventi, un accordo tra Napoleone III e l’Austria allo scopo di rafforzare la protezione del pontefice da possibili tentativi di occupazione. Le trattative tra Italia e Francia, lunghe e complicate, si conclusero solo nel settembre del 1864 e si impegnarono a stabilire la garanzia dell’incolumità dello Stato Pontificio in cambio del ritiro progressivo delle truppe francesi dal Lazio. In aggiunta, per dare un segno tangibile del rispetto degli accordi, il governo italiano, allora presieduto da Marco Minghetti, decise di spostare la capitale da Torino a Firenze come prova dell’impegno italiano di rinunciare a occupare Roma. La firma del trattato, avvenuta il 15 settembre 1864 a Fountainebleu, Parigi, passò alla storia come Convenzione di Settembre.
Quell’accordo, oltre a confermare l’ingerenza della Francia nelle questioni italiane e la subordinazione reiterata dei Savoia verso Napoleone III, provocò gravissimi problemi di ordine pubblico e dunque anche in politica interna. La volontà di stabilire a Firenze la nuova capitale del Regno (l’ipotesi Napoli fu scartata subito), infatti, provocò due giorni di sanguinosi scontri nel capoluogo sabaudo, i quali causarono ben 62 vittime tra manifestanti e militari. Quanto successe a Piazza Castello e a Piazza San Carlo il 21 e 22 settembre 1864 produsse inchieste e interrogazioni alla Camera dei Deputati; a seguito dell’istituzione di una commissione monocamerale ante litteram, una delle prime in assoluto, Minghetti dovette dimettersi il 28 settembre.
«Lo stato attuale di cose, non potendo durare perché troppo triste; Lei e i suoi colleghi siete invitati a dare le dimissioni».
Questo il comunicato diramato da Re Vittorio Emanuele II all’indirizzo del governo dopo i drammatici fatti di Torino. Suddetti avvenimenti suscitarono feroci polemiche, soprattutto riferite al fatto che Roma non fosse diventata, come paventato più volte dopo la prima fase dell’Unità, la nuova capitale di un’Italia finalmente unita. La scelta cadde su Firenze per due motivi principali: in primo luogo per la sua storia culturale di madre della lingua italiana, e in secondo luogo per la sua posizione geografica centrale e considerata strategica. Ma i malumori – e le conseguenti agitazioni, proseguite per settimane – derivavano anche dalla possibilità che una città importante come Torino, culla della patria e polo commerciale dell’Italia Settentrionale, perdesse la sua centralità politica ed economica. Il 23 settembre Alfonso La Marmora venne incaricato di formare un nuovo esecutivo e presiedere le inchieste in corso, che dopo intercessione di Bettino Ricasoli, vennero archiviate nel gennaio del 1865. Firenze rimase capitale del Regno d’Italia per circa sei anni, dal 3 febbraio 1865 al 30 giugno 1871.