Anche chi non arde di amor politico verso Donald Trump (il sottoscritto è tra costoro) deve tuttavia riconoscere che la reazione immediata del candidato repubblicano nei minuti che hanno fatto seguito all’attentato ha rivelato un talento e un carattere di cui gli va dato atto. Circostanza che da un lato sembra consolidare assai il suo vantaggio elettorale e dall’altro lascia sperare che magari la sua presidenza possa essere meno peggio di quel che in tanti si continua a prevedere.
Detto questo affiorano però almeno due perplessità – chiamiamole così – che continuano a destare un certo allarme. La prima è proprio quell’istinto combattente (“fight, fight, fight”) che vede nella politica innanzitutto la lotta. Argomento tipicamente americano, si dirà. Eppur rivelatore di una propensione polemica e di un linguaggio militaresco che ha molto a che vedere con quel clima di avversione che avvelena ogni confronto politico ed elettorale.
La seconda è quel voler insistere a scomodare Dio, che un attimo dopo, e sempre più, è stato invocato non solo co- me il protettore e salvatore di Trump ma anche come il sostenitore decisivo delle sue battaglie politiche e della sua causa elettorale.
Il Dio che dall’alto guarda gli eserciti della politica che si affrontano e si combattono dovrebbe invece essere lasciato in pace dai combattenti. La cui causa può magari essere anche la più alta e nobile. Ma proprio per questo non ha bisogno di un sostegno così autorevole. Lasciare la divinità fuori dal conflitto degli umani e combatterlo con maggior grazia dovrebbe essere il modo più appropriato per affrontare il cimento elettorale.
Fonte: La Voce del Popolo – 18 luglio 2024
[Articolo qui riproposto per gentile concessione del direttore del settimanale della Diocesi di Brescia]