Il voto di Strasburgo letto in chiave interna italiana consolida e conferma un’idea che mi sono fatto da tempo, e cioè che il forzato bipolarismo italico produce guasti seri al Paese perché la radicalizzazione dello scontro Destra vs. Sinistra che esso produce frustra quelle doti di mediazione e moderazione indispensabili, non sempre e in ogni circostanza ma il più delle volte sì, per condurre in porto con esiti soddisfacenti trattative complesse e oggettivamente non semplici.
In questo caso se ne è avuta una dimostrazione plastica, che non potrà (si spera) non produrre riflessioni avvertite sulla necessità di apportare almeno qualche modifica di natura politica al bipolarismo indotto dalla legge elettorale e pure, questo va onestamente riconosciuto, dall’incapacità dei partiti che si dicono “centristi” di costituire un forte riferimento per quella gran parte di concittadini che non apprezzano la radicalizzazione e che non avendo credibili alternative elettorali vicine ai loro sentimenti si rifugiano nell’astensionismo.
Che cosa deve pensare un normale cittadino italiano del voto dei suoi rappresentanti al Parlamento Europeo che ha riconfermato Ursula Von der Leyen alla Presidenza dell’Assemblea di Strasburgo, nel quale le forze di governo si sono divise e quelle di opposizione pure? Producendo come risultato l’isolamento dell’Italia, una sconfitta gravissima certamente imputabile in primis a Giorgia Meloni e al suo esecutivo ma anche il risultato di quella estremizzazione cui si faceva cenno poc’anzi.
A destra il principale partito, Fratelli d’Italia, si è fatto risucchiare dalla decisione leghista di far parte dello schieramento antieuropeista e filorusso dei cosiddetti “Patrioti” guidati dal premier ungherese Orban, il quale non si è certo fatto scrupolo di mettere in forti difficoltà la sua già amica Meloni, così come ha fatto il post-franchista spagnolo Santiago Abascal leader di Vox, alle cui assemblee la nostra premier ha dedicato nel tempo accorati discorsi nazionalistici in lingua castigliana.
Preoccupata dalla concorrenza a destra impostale dal suo alleato più infido, Matteo Salvini, la nostra “underdog” ha rinunciato a recitare un ruolo importante in Europa condannando sé stessa e soprattutto il suo Paese (pardon, la sua “Nazione”) ad un ruolo subalterno che l’Italia assolutamente non merita, non foss’altro per il peso che essa riveste nel continente. A nulla sono valsi gli sforzi di Forza Italia e del vicepremier Tajani nell’opera di convincimento della Presidente del Consiglio per un voto alla Von der Leyen, col risultato che l’anima moderata del destra-centro al governo è stata emarginata. Vincente in Europa, perdente in Italia.
Ma anche a sinistra non è che sia andata molto meglio. La differenza, non da poco per carità, e che da questa parte le divisioni non hanno arrecato un danno al Paese ma solo perché non si hanno ruoli di governo e quindi impegni di rappresentanza nazionale. Il mitico Campo Largo si è infatti diviso anch’esso, con il Pd e i Verdi (in questo frangente differenziatisi dai compagni di Sinistra Italiana) che hanno votato per la Presidente della Commissione e il Movimento 5 Stelle e il partito guidato da Nicola Fratoianni che hanno optato per il no. I centristi del fu Terzo Polo invece non hanno votato proprio: in quanto assenti, dazio pagato alla folle spaccatura voluta dai loro capi.
Dunque, per farla in breve: Pd, Forza Italia e Verdi con la Von der Leyen e la maggioranza europeista del Parlamento di Strasburgo; Fratelli d’Italia, M5S, Lega e Sinistra Italiana contro. Su una questione europea fondamentale. Bisogna ripartire da qui, da un dato politico innegabile.
Forza Italia ha un problema non da poco. Coerenza con un progetto unionista nel solco del popolarismo continentale e quindi apertura di un cantiere moderato tradizionale oppure asservimento ad una Destra ancora becera che Giorgia Meloni pareva voler cambiare ma che non ha potuto (o voluto, questo solo lei lo sa) trasformare in una vera forza conservatrice liberale? Tema da congresso di grande respiro, se i congressi veri li facesse ancora qualcuno. In mancanza, almeno, dico solo almeno, tema di un dibattito interno importante. Lo farà, Forza Italia, magari spinta a ciò dai fratelli Berlusconi?
Pure il Pd ha a che fare con un problemino non certo irrilevante. Abbandonata l’idea fondativa della “vocazione maggioritaria”, che forse troppo arditamente immaginava di includere la pluralità sociopolitica del centrosinistra in un unico partito, il nuovo PD targato Elli Schlein ha assunto un volto più marcato (e ciò è stato parzialmente premiato dagli elettori, dico parzialmente perché il 24% non è il 33%), ma spostandosi decisamente a sinistra ha scoperto il lato centrista, che certamente i suoi rappresentanti liberal e cattolico democratici non sono oggi in grado di rappresentare con forza dentro il partito, posto che la segretaria decide tutto da sola e ascolta solo pochi suoi amici fidati.
Non solo. L’alleanza con i 5 Stelle si dimostra ad ogni passaggio politico vero – quale è stato quello di Strasburgo – sempre meno credibile, avendo Conte nei confronti di Schlein lo stesso obiettivo che ha Salvini con Meloni: indebolirla. La sinistra di Fratoianni si sa bene come la pensa, per cui quello che manca al Pd di oggi è un alleato autorevole che occupi il lato moderato del centro-sinistra, come fu a suo tempo la Margherita di Rutelli e dei Popolari. Un partito autonomo e sufficientemente forte per costituire con i dem un’alleanza senza subirne il dominio. In grado così di tornare a rendere interessante il centro-sinistra per molti italiani oggi senza una forza politica di riferimento e al tempo stesso oppositori della Destra, del suo governo e della sua cultura di fondo. Lo schema bipolare così rimarrebbe, ma arricchito e quindi maggiormente in grado di offrire una proposta ad una fascia più larga di italiani. Unito da una comune visione europeista quanto mai indispensabile alla luce del possibile radicale cambiamento della guida politica a Washington.