[…] Nessuna tecnologia è neutrale, insomma. E certamente non si può sostenere, oggi, che gli intenti fraudolenti e manipolatori sono intrinseci a ogni atto comunicativo, rammentando che la più grande falsificazione propagandistica dell’età moderna, gli antisemiti protocolli dei Savi di Sion, risale ai primi anni del ‘900. Sarebbe come dire che un messaggio inviato con WhatsApp non sarebbe poi tanto diverso da uno che viaggiava sui fili del telegrafo.
E qui si arriva al punto nevralgico della questione. I social network non sono cattivi in sé: la polarizzazione delle opinioni e il linguaggio divisivo non sono l’esito inevitabile del loro utilizzo (vale ancora l’esempio del nucleare: con l’uranio si può alimentare di corrente elettrica un ospedale o creare un ordigno di una potenza distruttiva mai vista prima).
Bisogna stare attenti a non confondere la causa con l’effetto. Si rischia di nascondere le profonde radici sociali di quello a cui stiamo assistendo, ovvero l’affermazione del linguaggio d’elezione della grande disillusione, che è la cifra più autentica del ciclo storico sociale attuale: un codice (quello del rancore, della rabbia, della mancata inclusione) che adesso, grazie ai dispositivi digitali, può esprimersi in maniera diffusa e a costo zero, ma le cui motivazioni affondano altrove.
Il nucleo caldo della questione, in definitiva, concerne le narrazioni costitutive dell’immaginario collettivo, ovvero quelle cornici di senso entro le quali le società costruiscono la propria identità e tentano di radicare il proprio benessere. Le grandi narrazioni sono il pane immateriale indispensabile di cui lo spirito si nutre. Ma allo stesso tempo possono rivelarsi delle trappole, quando le narrazioni tradiscono le aspettative che esse stesse hanno generato. Delle narrazioni non possiamo farne a meno, ma c’è sempre il rischio che vengano smentite dalla dura realtà: dalle dinamiche economiche e sociali reali, dalla storia.
Tornano in mente le straordinarie pagine del Grande Inquisitore incluse nel capolavoro di Dostoevskij I fratelli Karamazov, dove si sostiene che la gente cerca sempre il miracolo, il mistero e l’autorità. La metafora fa al caso nostro. Osserviamo con sospetto e sgomento il presunto potere sovrumano dell’intelligenza artificiale, di volta in volta investendo gli algoritmi di paure ingiustificate o di attese realistiche (ci aspettiamo il miracolo); la potenza di calcolo stocastico che ne costituisce l’essenza viene travisata nell’abbaglio di ciò che ai più appare incomprensibile (siamo sedotti dal mistero); ci affidiamo come sonnambuli ai padroni della rete, che detengono saldamente nelle proprie mani le chiavi della nuova tecnologia (ci assoggettiamo all’autorità, affinché ci sollevi dalla responsabilità che il libero arbitrio porta inevitabilmente con sé).
Intanto, mentre il Parlamento Europeo legifera in materia, l’Europa, pur sviluppando tanta sperimentazione nelle università e nei centri di ricerca, resta pericolosamente priva di applicazioni proprie – alternative alle piattaforme americane e cinesi – che ne riflettano la cultura e i valori. Ancora una volta, un vaso di coccio in mezzo a due giganti d’acciaio.