12.8 C
Roma
domenica, Marzo 16, 2025
Home GiornaleIl Mulino | Occidente in declino: la democrazia tra sfide interne ed...

Il Mulino | Occidente in declino: la democrazia tra sfide interne ed esterne.

Facciamo i conti con una critica ai sistemi democratici che si sviluppa all’interno di quegli stessi Paesi che avrebbero dovuto avere l’orgoglio di avere testato il modello da quasi due secoli

Dello stato della democrazia e della sua attuale crisi hanno parlato papa Francesco, a più riprese il presidente Mattarella, Ursula von der Leyen nel discorso programmatico per la rielezione al vertice della Commissione europea. Non è solo questione del funzionamento più o meno carente dei sistemi che si rifanno, pur in forme e con modalità diverse, al costituzionalismo così come si è evoluto dal modello liberale classico al modello che vi ha inglobato la dimensione sociale. Le difficoltà che ha incontrato e che incontra questo modo di organizzare lo spazio e la convivenza nelle società politiche sono note, discusse in varie sedi e dipendono in buona parte dall’evoluzione storica che ha coinvolto l’ambito geografico in cui il costituzionalismo è nato e si è sviluppato, cioè quello che normalmente si definisce “l’Occidente”.

L’aspetto inedito con cui si devono fare i conti è che da qualche decennio quel modello è considerato inaccettabile: ha perso la sua natura tutto sommato prescrittiva che ne faceva una componente essenziale della modernità. Si potrebbe obiettare che esso era già stato sfidato dai sistemi che, rifacendosi in modi diversi al marxismo, avevano ritenuto di proporsi come alternativi al paradigma costituzionale. Tuttavia, va subito precisato che quei sistemi, almeno nella versione che reclamava di esserne l’incarnazione più ortodossa, cioè nel regime sovietico, pretendevano di essere, coerentemente con la prospettiva di Marx, lo sviluppo compiuto e totale delle istanze che stavano alla base della rivoluzione costituzionale dell’Occidente, perché avendole separate dall’economia capitalista le aveva massimizzate nella loro capacità di “liberazione” dell’uomo (il che in definitiva doveva essere l’obiettivo dell’umanesimo occidentale da cui trae origine ultima il costituzionalismo).

Il crollo del sistema sovietico, l’ambiguità del sistema socialista cinese che sembrava essersi per tanti versi occidentalizzato, almeno nella gestione del sistema economico e nell’assunzione della rivoluzione tecnologica, avevano portato molti a concludere che il modello del costituzionalismo occidentale, ossia della liberal-democrazia, si fosse ormai affermato sbaragliando i suoi avversari, unico modello cui rivolgersi per rimanere nell’ambito della “modernità”. È nota la tesi di Francis Fukuyama sulla “fine della storia”, nel senso di esaurimento della capacità di sfida alternativa al quadro del costituzionalismo con le sue incarnazioni economiche e sociali.

Tuttavia la sfida mostrava ancora il suo volto, questa volta con le sembianze dell’estremismo islamico, un sistema culturale che non solo rifiutava il contesto dei valori dell’Occidente, ma che li combatteva tanto impedendo che essi si propagassero nelle terre storiche dell’insediamento di quella cultura, quanto mettendo in crisi la capacità di dominio dei Paesi che a essi si richiamavano sia con il ricorso al conflitto armato e alla guerra asimmetrica del terrorismo, sia, dove possibile, animando conflitti per così dire più tradizionali.

A interpretare questo quadro in buona parte nuovo aveva provveduto Samuel Huntington con la tesi, fortunata, della presenza di uno “scontro di civiltà”. Il mondo aveva perso il relativo equilibrio garantito dalla condivisione di un complesso di punti di riferimento dati per razionali e sconnessi da appartenenze culturali particolari ed era accaduto perché erano tornati in campo i riferimenti ad altre forme di elaborazione dell’organizzazione socio-culturale, le quali rifiutavano di far parte della koinè occidentale. Il riferimento più evidente era all’islamismo radicale, ma si iniziava a vedere il risorgere dell’antioccidentalismo slavo-bizantino, nonché altre forme di rivendicazione di modelli, alcuni più o meno frutto di invenzioni polemiche (culture sudamericane, culture africane), ma altri anche di storie molto complesse i cui “quarti di nobiltà” sono ardui da negare, come nel caso della cultura indiana e cinese.

Possiamo qui prescindere dal discutere degli infiniti problemi e delle aporie che pone l’utilizzo dello schema interpretativo dello scontro di civiltà. Vogliamo infatti richiamare l’attenzione su due elementi che stanno connotando la fase attuale della crisi della democrazia e che ispirano le riflessioni autorevoli da cui abbiamo preso le mosse: la resa crescente che è presente in molti settori della cultura occidentale alla tesi della dimensione del tutto relativa e priva di paradigmaticità del modello occidentale; il via libera che ciò ha dato alla ripresa di un confronto fra le nazioni su basi neo-imperiali.

Era senz’altro eccessivo dichiarare una superiorità assoluta e indiscutibile del modello occidentale che ha prodotto la democrazia come sistema di governo. È stata a lungo “esportata” in tutto il mondo che si è trovato sotto il dominio euro-americano con risultati controversi, per la semplice ragione che spesso si sono attuate le “formalità” del sistema (competizione elettorale, articolazione dei poteri fra parlamenti, governi, magistratura, qualche libertà di espressione per l’opinione pubblica) e si è realizzata l’assimilazione di alcuni modelli di way of life dal punto di vista dell’utilizzo delle tecnologie come da quello dei “consumi”, ma senza che si andasse oltre il formalismo per cui, giusto per spiegarci, le elezioni sono pesantemente manipolate, l’articolazione dei poteri rimane sulla carta, la pubblica opinione è limitata e controllata. Non si è tenuto conto che il sistema costituzionale è figlio di varie storie politiche nazionali, è supportato da itinerari di sviluppo e da condizioni essenziali di cultura, di vita sociale e di contesto economico, in assenza delle quali le istituzioni democratiche non possono vivere.

Un certo successo di alcune “esportazioni”, per esempio in India o in Giappone dopo la Seconda guerra mondiale, ha fatto ritenere che il metodo fosse plausibile, ma vari fallimenti dopo inizi che potevano sembrare promettenti hanno costretto a rivedere queste convinzioni (si pensi alle ex colonie europee in Africa, dove al momento dell’indipendenza si erano instaurati sistemi politici sul modello occidentale, per arrivare poi al loro disseccamento). […]

Continua a leggere

https://www.rivistailmulino.it/a/una-crisi-che-non-si-puo-ignorare