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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Clelio Darida, dal Campidoglio al governo: una storia da scrivere.

“Il Popolo” edizione online, diretto da mons. Stenico, ha aperto una rubrica che dei molti protagonisti della lunga storia dc propone le biografie. Di seguito riportiamo la prima parte di quella dedicata a Darida..

La vicenda umana e politica di Clelio Darida, personalità di spicco nella vita politica ed amministrativa dell’Italia della seconda metà del ‘900, appare come esemplare di ciò che è stata la Democrazia Cristiana. Nell’impegno politico e amministrativo, la sua coerenza con i grandi temi dei democratici cattolici, fu innervata dal suo carattere e dalla sua equazione personale, quelle, come ha scritto Lucio d’Ubaldo, di “un uomo colto, dotato di grande intuito, deciso nelle battaglie politiche, solerte e concreto nell’impegno amministrativo”.

Sin dagli inizi – nasce a Roma nel 1927 – cioè negli anni ’40 e ’50, la sua militanza politica si intreccia con i fermenti del cattolicesimo sociale che, a Roma, ha avuto iniziative e figure di grande qualità. Frequenta la scuola di don Tullio Piacentini la cui congregazione della Madonna della Fiducia ha lasciato opere sociali ancora presenti nel quartiere Appio di Roma. Nel contempo, a vent’anni, è vice dirigente romano degli Uffici della S.P.E.S. (Studi, Propaganda e Stampa). Mantiene un consolidato rapporto con le strutture cattoliche quale responsabile del Centro Oratori, sempre accompagnandolo all’impegno nel movimento giovanile romano del Partito.

 

Lo ricorderanno e lo rappresenteranno sempre due suoi amici e collaboratori di grande spessore umano e culturale, Francesco Cannucciari e Franco Splendori, che ebbero grande vicinanza a don Luigi Di Liegro, indimenticabile fondatore della Caritas diocesana di Roma.

Sempre negli anni ’50, mentre si insedia la segreteria di Fanfani (1954-1959), Darida, nell’ambito della sinistra del Partito, organizza la pubblicazione di un periodico, “Città del Lazio”, la cui redazione è nella sua abitazione, in Via Voghera 7, sigla che rimarrà a denominare la compagine che si presenterà agli appuntamenti congressuali, nella corrente di Nuove Cronache.

Tale appartenenza lo colloca, si può dire naturaliter, nel campo riformatore della proposta politica del partito cristiano. Un ambito di elaborazione programmatica e di creazione di condizioni sociali volte al temperamento del “rischio” liberista che connotarono, sin dall’inizio, i programmi della Dc. Ed è, infatti, questa attenzione alla condizione dell’uomo, della comunità in cui vive e delle opportunità che possono essere offerte per la crescita, che costituiranno il terreno sul quale Clelio Darida si misurerà durante tutta la sua esperienza politica, di amministratore nei diversi livelli in cui operò e di uomo di partito, costruttore di confronti e di tesi politiche.

Prima di approdare all’impegno in Campidoglio, avrà una breve esperienza come membro della commissione amministrativa dell’ACEA, l’azienda municipale, oggi spa, che rappresenta il cuore erogatore dei servizi essenziali della Città, passaggio obbligato per tanta parte dei quadri politici della Capitale.

Entrato in Consiglio Comunale nel 1960, dopo tre anni è assessore alla Sanità, dove si dimostra capace di realizzare nuovi spazi operativi per le istituzioni comunali, mentre il suo impegno politico nel Partito è quello di membro del Consiglio nazionale e vice segretario del Comitato romano. Poco più che trentenne, unisce alla partecipazione ai confronti e dibattiti generali – era il tempo della prospettiva politica di centrosinistra – l’impegno negli enti locali, un passaggio obbligato per i giovani dc che militavano in una forza politica che aveva una delle sue ragion d’essere come “scuola di rappresentanza”. Arriverà fino alla presidenza dell’ANCI, la prestigiosa organizzazione rappresentativa degli enti locali comunali.

Nel 1963 è eletto alla Camera con un alto numero di preferenze, incarico che lascerà nel 1969 per diventare Sindaco di Roma. Una scelta significativa, preferendo l’esperienza nell’aula di Giulio Cesare, cui restò più nostalgicamente affezionato, come disse a chi scrive.

Il suo impegno al vertice amministrativo della Capitale, è ricoperto per un lungo e travagliato periodo, dal 1969 al 1976. Nel 1969 quando viene eletto Sindaco, l’Italia vive gli anni della crisi del centrosinistra e a Roma affiora l’instabilità nei rapporti con il Partito Socialista – dopo soli cento giorni dal suo insediamento il PSI chiede una verifica – ma che Darida riesce, comunque, a fronteggiare, con decisa assunzione di responsabilità, in qualche caso, con giunte monocolori, appoggiate dall’esterno dai partiti di centro e sinistra. 

Queste continue difficoltà – insieme ad una non sufficiente attenzione e disponibilità del governo centrale – purtroppo, ebbero il costo di non poter avviare l’obbiettivo strategico del Nuovo Piano Regolatore Generale del 1965, cioè il grande progetto dell’Asse Attrezzato, poi denominato Sdo (Sistema Direzionale Orientale), da sempre avversato dalla sinistra, anche se, comunque, la giunta Darida, apprestò il “Piano Margherita” redatto da Piero Samperi, insigne urbanista e dirigente del Comune, che lanciò l’idea di riorganizzare la periferia intorno a dei poli che, se realizzati, avrebbero riordinato i grandi agglomerati senza volto della città periferica.

Sono anche anni difficili per la Città che aveva in atto una immigrazione dal Sud e dalle zone interne, a fronte delle quali le scarse risorse che lo Stato centrale concede non consentono di offrire servizi sufficienti. Lo sviluppo della città “spontanea” e le difficoltà derivanti dalla mancata attuazione delle importanti previsioni circa la modernizzazione della direzionalità pubblica e privata del Piano Regolatore Generale che Amerigo Petrucci aveva condotto porto, debbono, comunque, essere affrontate.

E questa sfida viene colta, nonostante le insufficienti risorse. Tale questione che rallentava e, a volte, impediva di realizzare progetti e interventi decisivi per la Città, il sindaco Darida non mancò di denunciare sin dagli inizi, come a settembre del 1969, in sede nazionale, in un importante articolo su La Stampa dal titolo significativo “La Capitale dei debiti”, ripetuto su Il Giorno il mese successivo nel quale scrisse esplicitamente: ”possiamo tirare avanti solo facendo debiti su debiti”. Ricorse, sulla base della credibilità della sua giunta, agli interventi provvidenziali della Cassa Depositi e Prestiti, anche per risolvere esigenze di spese correnti.

 

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