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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Meloni al contrattacco, le opposizioni devono rispondere.

Prima viene il ridimensionamento della destra, unendo le forze nelle imminenti elezioni regionali in Liguria Umbria ed Emilia Romagna, poi l’impresa ineludibile di un rinnovato e autonomo protagonismo del centro.

Stava mettendosi male, alla fine la Meloni è uscita dall’angolo sgusciando vittoriosa. Ne ha dato una vivida rappresentazione nella conferenza stampa di stamane a Cernobbio. La rapidità nel passaggio di consegne da Sangiuliano a Giuli costituisce in effetti un successo d’immagine. Questo almeno si dice. Il neo ministro, per giunta, guadagna all’istante il blasone del possibile sfidante di Gualtieri nel 2027: dai Beni culturali al Campidoglio, questo sarebbe il percorso tratteggiato per l’ex militante di Meridiano Zero. In ultimo, con la casella del Maxxi da coprire, avanza pure l’ipotesi della nomina di Rossi, attuale Dg della Rai, grazie alla quale potrebbe essere chiuso agevolmente il dossier relativo ai nuovi vertici di Viale Mazzini. Il caso Sangiuliano si chiude dunque all’insegna di un rilancio in grande stile della leadership meloniana.

Eppure, dietro questo sfoggio di destrezza ed efficienza si legge comunque la difficoltà di un mondo a corto di classe dirigente e obbligato, per questo, ad affidarsi alla cerchia ristretta di Colle Oppio e dintorni. Mentre si discetta sulla strategia di apertura al centro – ed ecco l’attrazione degli osservatori per la scelta del “democristiano” Fitto quale Commissario a Bruxelles – quel che prevale nel concreto è il posizionamento di Fratelli d’Italia sulla linea di confine più spostato a destra. La narrazione non combacia con la realtà, anzi ne rappresenta in fondo la smentita. L’eccentrica mediazione tra Hobbit e neo-doroteismo, con l’ambizione di occupare uno spazio di originale centralità politica, alla lunga non può che rivelare i suoi limiti.

Comprensibilmente, la convergenza dei partiti che occupano il paesaggio dell’opposizione si presenta quanto mai necessaria. Ciò non significa abbandonare l’idea di un ritorno al centro, da posizioni riformatrici e democratiche, della politica italiana; piuttosto significa comprendere che prima viene il ridimensionamento della destra,  facendo leva sulle imminenti elezioni regionali in Liguria Umbria ed Emilia Romagna, poi la riarticolazione dei rapporti complessivi con l’impresa ineludibile di un rinnovato e autonomo protagonismo del centro. Solo piegando le discutibili ambizioni della destra si rilancia la prospettiva del riformismo democratico, non subalterno alla sinistra e libero dai condizionamenti del nazional-populismo.