La Voce del Popolo | I danni dell’illusione del populismo.

Nel dopoguerra furono le oligarchie ad accompagnare il paese lungo il percorso della sua ricostruzione. Nessuno di quei signori era troppo concentrato sui propri vantaggi. Quelle virtù sono andate perdute.

Il populismo non ha sconfitto le élites. Le ha solo peggiorate. Quelle di ieri avevano almeno un barlume di visione, e spesso dialogavano in modo proficuo con le élites del resto del mondo (o almeno di quella parte di mondo con cui eravamo interessati a intenderci). 

Quelle di oggi sono sulla difensiva, dunque svendono, si nascondono, si ritirano, cercano maldestramente di acchiappare qualcosa senza avere più molto da offrire in cambio. Ha ragione Giuseppe De Rita, nel suo ultimo libro. 

Nel dopoguerra furono le oligarchie ad accompagnare il paese lungo il percorso della sua ricostruzione. Banchieri e imprenditori illuminati, dirigenti politici provvisti di un senso di missione, insegnanti e pensatori abituati a guardare avanti. Un insieme di persone e di ambienti che avevano chiaro il destino da costruire e che, a suo tempo, fecero del loro meglio per attrezzare un paese nel quale ancora fumavano le macerie della guerra. 

Nessuno di quei signori era troppo concentrato sui propri vantaggi. Ognuno di loro era guidato da una visione che abbracciava, insieme, l’utile e l’ineluttabile. Quella generazione aveva quello che manca a noi: e cioè il senso del tempo. Che vuol dire un misto di pazienza e di misura. 

Quelle virtù sono state via via impoverite, ma non del tutto dilapidate. A bruciarle definitivamente, direi, ha provveduto soprattutto l’illusione del populismo. Laddove ha preso di mira le poche élites che erano ancora rimaste a disposizione del paese, facendo di ogni erba un fascio e senza neppure tentare di distinguere tra i costruttori e i predatori. Con tutto vantaggio per questi ultimi.

 

Fonte: La Voce del Popolo – 17 ottobre 2024.

[Testo qui riproposto per gentile concessione del direttore del settimanale della diocesi di Brescia]