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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Tutto da costruire il centro che cammina verso sinistra

Deprime immaginare un “centro mucillagine” che serva in qualche modo a vincere le elezioni. De Gasperi identificò il centro, rappresentato dalla “sua” Dc, come motore delle riforme. Oggi questo centro è introvabile.

Si cerca in tutti i modi di dematerializzare l’eredità della politica degasperiana, sminuendone il significato ideale e le implicazioni pratiche. Alle volte lo si fa per semplice inavvertenza. È stato Agostino Giovagnoli, ad esempio, a riproporre l’esegesi minimalista della celebre frase, quella dell’intervista di De Gasperi a “Il Messaggero” del 17 aprile 1948, alla vigilia cioè delle elezioni più importanti della storia repubblicana, per la quale la Dc era definita “partito di centro che cammina [non guarda, ndr] verso sinistra”. Secondo l’autorevole storico, tra i relatori al Teatro Quirino (il 20 giugno scorso) per le celebrazioni degli 80 anni dalla nascita della Dc, De Gasperi voleva indicare, con quel suo riferimento alla sinistra, una generica tensione alla giustizia e all’equità sociale, non un preciso ed organico orientamento politico. 

La tesi non regge alla luce della concreta esperienza politica degasperiana. Infatti, cosa fu il centrismo? Un’opzione strategica, con precisa discriminante democratica. Dopo il 18 aprile la Dc poteva farsi perno di un blocco conservatore, senza distinzioni a destra. Invece, poiché “camminare verso sinistra” aveva un significato eminentemente politico, non solo sociale, la scelta di De Gasperi fu quella di stabilizzare l’alleanza riformatrice, coinvolgendo appieno socialdemocratici e repubblicani, ovvero i partiti di sinistra democratica collocati saldamente nel campo occidentale. Insomma, De Gasperi scelse l’alleanza più avanzata possibile sul piano delle riforme – perché le riforme De Gasperi le fece sul serio – come espressione dinamica ed avanzata del cosiddetto “anticomunismo democratico”. A riprova di ciò, si tenga in considerazione che nel periodo del centrismo non mancarono dissensi e momenti di crisi con i liberali, a dir poco prudenti proprio sulle riforme (in specie sulla riforma agraria).

Malgrado questo, Aldo Cazzullo ha scritto che De Gasperi era un “uomo di centro-destra” (“Corriere della Sera”, 3 agosto). E subito dopo anche Ortensio Zecchino (“Il Foglio”, 10 agosto), promotore dell’incontro del Quirino, ha dato a vedere di muoversi lungo questa stessa lunghezza d’onda (con qualche malcerta citazione). Che dire? È un De Gasperi irreale, forzatamente consacrato come principe del moderatismo, anche a dispetto della rivendicazione del carattere “innovatore e riformatore” che proprio lo statista trentino volle attribuire, nel discorso del 28 giugno 1953, al ciclo di governo da lui diretto.

Certo, De Gasperi non è l’icona a disposizione di chi immagina un “centro mucillagine”, funzionale alla conquista di quel minimo che serve per vincere le elezioni. Una miseria, questa, lo dobbiamo ammettere! Pensare a una sorta di protesi della sinistra, quasi un’escrescenza funzionale al posizionamento in campagna elettorale, è la negazione di un vero progetto politico. L’orizzonte è un altro, deve essere un altro. Serve infatti un “centro innovatore”, così come lo concepì De Gasperi, ovvero un’aggregazione capace di fare la differenza, unendo tutti i democratici – riformisti ed europeisti, nondimeno laici ma rispettosi delle fedi – e fissando un chiaro confine anche a sinistra, per arginare il populismo in tutte le sue varianti e diramazioni. Un centro tutto da costruire e per adesso introvabile.