Non sono solo le due sconfitte elettorali, in Emilia Romagna e soprattutto in Umbria, a preoccupare la Presidente, ma anche la crescente astensione che si rivela nettamente a suo svantaggio. A due anni dalla nascita del governo, il consenso inizia a calare, come accaduto ai suoi predecessori. Si avverte una certa stanchezza, specialmente nei confronti della squadra di governo, mentre emergono con evidenza scelte sbagliate o imposte dagli alleati.
Uno dei maggiori elementi di tensione con l’opposizione si collega al “ricatto” di Salvini sulla legge per l’autonomia differenziata. Questa riforma ha spaccato il Paese non solo tra nord e sud, ma ha generato dissensi anche all’interno di ampie fasce delle stesse regioni settentrionali. Una battaglia antistorica, che sembra riesumare lo spirito secessionista del primo Bossi, proprio mentre appare evidente a tutti la necessità di salvaguardare l’Unione Europea, da oggi potenzialmente sotto l’attacco del “trumpismo”.
Ma non è solo questa la ferita aperta: la Meloni deve affrontare un certo logoramento legato all’inadeguatezza della sua classe dirigente, un problema che cerca di tamponare come può, spesso ricorrendo a un vittimismo sempre meno credibile. La verità è che molte delle sue scelte strategiche risultano forzate e rivelano il fallimento del suo progetto istituzionale, incentrato come è noto sul premierato, e dunque sulla concentrazione del potere in una persona sola al comando. Questo disegno desta grande preoccupazione, anche a livello europeo.
Lo scontro con gli altri poteri dello Stato, inoltre, lascia intravedere una tendenza che mette in allarme tutti gli organi di garanzia democratica. In alcuni passaggi, anche il Presidente della Repubblica ha ritenuto necessario far sentire la sua voce, senza con ciò abbandonare il ruolo super partes che la Costituzione gli attribuisce. È immaginabile un Paese che – astrattamente parlando – resti inerte di fronte a un Mattarella costretto a rifiutarsi di firmare una legge, ricorrendo alla Corte Costituzionale?
Un dato certo emerge da questa situazione: la Meloni, in condizioni così critiche, potrebbe decidere di ricorrere ad elezioni anticipate pur di evitare il referendum sulla tanto declamata “madre di tutte le riforme”, ovvero sul premierato.