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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Al bivio della solidarietà, l’Europa nella policy del candidato Fitto.

Le dinamiche politiche e i veti incrociati hanno messo in stallo, a data da destinarsi, le conferme di tutti e 6 i vicepresidenti designati. Si ha l’impressione che mentre il mondo corre, l’Europa vada a rilento

Przemyśl, 60mila abitanti, voivodato della Precarpazia, Polonia: il primo luogo raggiunto dagli ucraini in fuga dai bombardamenti, dalle truppe e dai carri armati russi all’alba del 24 febbraio 2022. Przemyśl, Precarpazia: incastonata fra colline, Carpazi, Slovacchia e Ucraina, ancora oggi una delle regioni più povere dell’Unione europea.

Ed è proprio allo sviluppo delle regioni periferiche e rurali sono destinati i fondi Ue per la Coesione, circa 400 miliardi. Ed è nelle regioni più indietro che l’Unione europea mette in gioco la sua credibilità, si concretizzano i principi di sussidiarietà e solidarietà che sono le basi del processo di integrazione. Come quella regione è stata in prima linea nell’accogliere i profughi dalla vicina Ucraina fin dalle prime ore del conflitto, compito dell’Ue è investire e creare ricchezza, specialmente nelle regioni rimaste indietro.

Ed è questo il compito assegnato a Raffaele Fitto, indicato dal governo italiano al ruolo di Commissario europeo e che Ursula von der Leyen ha designato come Vicepresidente con delega a Coesione e riforme. Durante la sua audizione di fronte alla Commissione Affari regionali del Parlamento europeo, nell’aula De Gasperi di Bruxelles, ha dimostrato perché poter contare su di lui: profilo moderato, affidabile, pronto al dialogo, europeista. Non a caso, ha iniziato dicendo “Non sono qui per rappresentare un partito politico, non sono qui per rappresentare uno Stato membro. Sono qui oggi per affermare il mio impegno per l’Europa”.

Le dinamiche politiche e i veti incrociati hanno messo in stallo, a data da destinarsi, le conferme di tutti e 6 i vicepresidenti designati (oltre a Fitto, la spagnola Teresa Ribera, la finlandese Henna Virkkunen, il francese Stéphane Séjourné, l’estone Kaja Kallas – che però è stata designata dal Consiglio europeo di luglio-, la rumena Roxana Mînzatu). Si susseguono vertici e incontri riservati per uscire dall’impasse e mettere l’esecutivo europeo in condizioni di lavorare.

Nel frattempo, Trump ha nominato il suo futuro governo a una settimana dalla sua rielezione e il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha convocato le elezioni per il 23 gennaio prossimo, con la Germania che vede una crisi politica sommarsi a quella economica che mostra crepe profonde nella società tedesca. Nei giorni scorsi, dopo le elezioni Usa, il primo ministro polacco Donald Tusk ha invitato le Istituzioni europee ad “aspettarsi una proposta per un potenziale cessate il fuoco” a cui arrivare pronti. Il Presidente finlandese Stubb ha parlato di “finestra aperta per negoziati di pace”.

Insomma, sia detto con tutto il massimo rispetto per tutte le famiglie politiche europee e per le legittime battaglie politiche, si ha l’impressione che mentre il mondo corre, l’Europa vada a rilento, immobilizzata da procedure bizantine e alambicchi politici in una fase in cui servirebbero, invece, buon senso e rapidità di reazione.

Servirebbe, invece, la concretezza dei cittadini di Przemyśl e della Precarpazia che hanno accolto i profughi ucraini senza esitazioni. Mancano la saggezza e la lungimiranza dei democristiani padri fondatori dell’Unione europea. E se l’eredità di quest’ultimi, come dimostra anche l’audizione di Fitto, è sempre viva, forse l’esempio dei primi, pur cronologicamente più vicino, sembra distante. Bisogna invertire la rotta quanto prima, altrimenti, parafrasando i Romani, “Dum Bruxellae consulitur, Europa expugnatur”.