La nuova gestione di Ursula von der Leyen nasce sotto cattivo auspicio, segnata da un consenso tra i più bassi mai registrati. Nemmeno il sostegno di Giorgia Meloni, per quanto tempestivo, è riuscito a risollevarla del tutto. Questo scenario evidenzia un problema di fondo: l’assenza di alternative percorribili. Con il declino dell’asse franco-tedesco, l’unico capace di proporre una leadership stabile, manca oggi una forza in grado di sostenere soluzioni alternative, come quella già ipotizzata in passato di affidare la guida a Mario Draghi. Tale prospettiva, peraltro, avrebbe assunto o assumerebbe ancora più rilevanza alla luce della vittoria di Donald Trump e dell’atteso terremoto geopolitico.
Von der Leyen, consapevole delle sfide epocali che la attendono, ha richiamato esplicitamente alcune proposte avanzate proprio da Draghi. Tuttavia, ciò non basta: la gestione di una crisi complessa come quella attuale richiede una visione d’insieme, da implementare passo dopo passo, senza delegare decisioni strategiche a terzi.
La debolezza dei cristiano-democratici
Un’analisi politica preliminare suggerisce che i cristiano-democratici europei continuano a essere un punto di riferimento essenziale, non per caso ma per necessità. Essi rappresentano l’unico argine concreto all’avanzata della destra estrema, incarnata da leader come Viktor Orbán e i suoi affiliati, tra cui Matteo Salvini, le cui posizioni spesso indulgenti verso Putin preoccupano l’Europa intera. La minaccia, aggravata da un’escalation retorica che include persino il riferimento all’uso di armi nucleari, rende evidente l’urgenza di una leadership europea stabile e coesa.
In questo contesto, il governo italiano appare fragile. La coalizione di centrodestra, per quanto numericamente solida, è percorsa da tensioni interne che riflettono divergenze strategiche profonde. La Meloni, ad esempio, deve fare i conti con l’inaffidabilità del suo principale alleato, Salvini, la cui linea politica oscilla tra opportunismo e posizioni apertamente divisive.
Meloni tra riforme e soluzione “donna sola al comando”
Un fattore cruciale nel futuro prossimo sarà il destino del referendum per “la madre di tutte le riforme”, ossia il premierato. Se la Presidente del Consiglio dovesse percepire l’impossibilità di portare avanti questa riforma, potrebbe usare la debolezza di Salvini come pretesto per giocare la carta di una più marcata gestione solitaria del potere, senza preoccuparsi di sacrificare gli alleati di governo. Un simile scenario lascerebbe poco spazio di manovra non solo ai suoi partner, ma anche alle opposizioni.
L’urgenza che riguarda le opposizioni è provare a fare unità
In questo clima d’incertezza, è imperativo che le forze di opposizione trovino una convergenza su una piattaforma comune, capace di anticipare le mosse del governo. Solo così potranno evitare di trovarsi spiazzate da eventuali manovre di Meloni per rafforzare la sua posizione. Già si comincia ad evocare, infatti, il possibile scioglimento anticipato delle Camere. Il tempo stringe, e i traballanti equilibri europei e nazionali richiedono una risposta politica chiara e lungimirante.