“La congiuntura economica è favorevole, ma questo non sembra più sufficiente per garantire il benessere di tutti”. È la sintesi, dati alla mano, di Marco Marcatili, direttore sviluppo di Nomisma e responsabile dell’Osservatorio Sguardi Familiari, che si aggiorna con le nuove rilevazioni 2024. Malgrado qualche contenuta oscillazione al rialzo, l’inflazione sembra essersi assestata al di sotto del 2%. Al contempo, l’occupazione, compresa quella femminile, è cresciuta fino ad attestarsi al 62,5%, ampliando la platea di lavoratrici e lavoratori stabili e contribuendo a ridurre quella dei disoccupati. Eppure, ben oltre la metà delle famiglie italiane (59%) considera inadeguato il proprio reddito di fronte alle necessità primarie della vita. Ad un 15% di famiglie che giudicano il proprio reddito insufficiente, si somma un ampio 44% di famiglie che valuta le proprie entrate appena sufficienti per arrivare a fine mese. Tra queste, a denunciare la sproporzione tra redditi e costo della vita è il 62%, a cui si aggiungono le famiglie (1 su 5) che accusano spese per la casa particolarmente elevate. Nel complesso, tale quota copre oltre l’80% delle famiglie in difficoltà (percentuale in crescita di 3 punti rispetto alla scorsa rilevazione). Mentre diminuiscono dal 10 all’8% le famiglie che denunciano difficoltà lavorative come elemento determinante della condizione di insufficienza del reddito.
“Abbiamo recuperato 10 punti percentuali rispetto al momento delpicco dell’inflazione, a cavallo tra 2022 e 2023, quando oltre due famiglie su tre (69%) ritenevano il proprio reddito inadeguato. Ancora oggi però ad apparire decisamente squilibrato è il rapporto tra costo della vita e redditi da lavoro. L’Italia paga il blocco pluridecennale della produttività e la mancata crescita delle retribuzioni. Tra 2013 e 2023 le retribuzioni lorde sono cresciute la metà (16%) rispetto alla media europea (30,8%) e il potere d’acquisto risulta addirittura calato (-4,5%) con la recente ondata inflattiva. Il rinnovo dei contratti collettivi e gli adeguamenti Ipca non colmano se non parzialmente la misura di quanto perso in termini di potere d’acquisto con l’inflazione, nel quale si è verificata una vera e propria erosione dei risparmi, a danno di molte famiglie. L’aumento del ricorso alla cassa integrazione(+23% nei primi nove mesi 2024) sulla carta lascia invariata l’occupazione, ma incide negativamente sui redditi e sulle aspettative verso il futuro” spiega Marcatili. Non a caso, malgrado gli indicatori positivi del mercato del lavoro, ben il 42% delle famiglie ritiene che la propria condizione economica sia peggiorata negli ultimi 12 mesi (nettamente peggiorata per l’11%), mentre solo l’8% ritiene sia migliorata.
La perdita di potere d’acquisto sta determinando rinunce rilevanti da parte delle famiglie: l’85% ha tagliato le spese per il tempo libero, il 72% ha ridotto i consumi culturali, il 67% le attività sportive e ben una famiglia su due ha dovuto ridurre le spese sanitarie, il 28% ha tagliato sulle spese per l’istruzione e una famiglia su 10 dichiara che non potrebbe far fronte economicamente alla nascita di un figlio e una famiglia su 6 non riuscirebbe ad affrontare la perdita di autonomia di un proprio componente, tanto che il 60% degli intervistati ritiene che alla base del calo nelle nascite ci siano questioni di natura economica.“Quanto emerge, dimostra come non siano solo i consumi considerati voluttuari a venire tagliati, quando si arriva a comprimere le spese per la propria salute o per l’istruzione dei figli, quando la sostenibilità finanziaria della quotidiana è così fragile che verrebbe compromessa da una nascita risulta evidente la situazione di vulnerabilità, denunciata soprattutto da alcune categorie familiari” sottolinea Marcatili. Particolarmente rappresentate per le rinunce più gravose risultano infatti le cosiddette famiglie sandwich, strette tra la cura dei figli piccoli e dei genitori anziani. Ben il 70% delle famiglie che tagliano sulle spese sanitarie sono famiglie sandwich, seguite poi, con ampie sovrapposizioni, dai genitori soli con figli (60%) e dalle famiglie meridionali (60%), ad indicare ambiti sociali caratterizzati daelevata fragilità. Le prospettive non migliorano guardando ai prossimi 12 mesi, se poco più di 1 famiglia su 10 confida in un miglioramento della propria situazione economica, una 1 famiglia su 3 teme invece un deterioramento rispetto alle condizioni attuali.
In un Paese in cui per ragioni demografiche l’indice di dipendenza strutturale cresce di anno in anno, il 22% delle famiglie hanno responsabilità di cura verso familiari non autosufficienti (il 6% ha anziani non autosufficienti nel nucleo familiare) e oltre il 15% assolve direttamente a tali compiti. “La questione è sistemica, perché i bisogni delle famiglie, tradizionalmente legati al welfare pubblico, non trovano risposta adeguata se non dentro la famiglia stessa. Assistiamo ad un welfare sempre più fai da te” chiarisce Marcatili. Il 58% dichiara di trovare il principale supporto nella rete familiare, mentre solo la metà (29%) dichiara di ricevere supporto dai servizi sociali pubblici messi a disposizione dal territorio. “A stupire è il ruolo margine delle imprese: complessivamente solo il 12% dichiara di trovare un supportosostanziale in azienda. È riconosciuto dalla stessa quota di intervistati il ruolo dalla Caritas, che da sola fornisce lo stesso supporto dell’intero mondo dell’impresa. Il che mette in discussione la capacità dei piani di welfare aziendale di rispondere davvero ai bisogni emergenti e spiega la carenza di attrattività e di affezione al lavoro. Quanto a categorie specifiche, le famiglie numerose dichiarano particolari difficoltà di conciliazione vita-lavoro. Si riscontra invece una maggiore capacità di supporto da parte delle banche (26%)”. Si evidenzia poi una questione relativa alle nuove solitudini: “le tipologie di nuclei familiari più esposti a debolezza e bisogni sono quelli composti da una sola persona. In ogni fascia di età, riscontriamo l’aggravarsi delle condizioni e un peggioramento delle prospettive future per le persone sole. I giovani soli (under 45) sono particolarmente esposti all’instabilità occupazionale e vulnerabili quando non possono ricorrere alla protezione della rete familiare(oltre il 31% degli intervistati non riuscirebbe a sopportare l’impatto economico della perdita del lavoro di un componente della propria famiglia, contro una media del 14%). Gli adulti soli(45-69 anni) hanno meno supporto familiare, aumentano i casi di vissuti difficoltosi (divorzi, separazioni) che spesso si traducono in forme di fragilità, anche economica (quasi doppia la quota di adulti soli che percepiscono come insufficiente il proprio reddito rispetto alla media). Gli anziani soli (over 70) sono più solidi economicamente (la quota di chi dichiara insufficiente il proprio reddito è inferiore del 50% alla media), ma pesa l’esposizione al cronicizzarsi delle patologie e la forte dipendenza dalla rete familiare (66%). In particolare, soffrono i genitori soli con figli a carico, che necessitano in primis di supporto economico, anche e soprattutto in forma di assegnazione di alloggi pubblici e offerta di servizi sociali dedicati” sottolinea Marcatili. In un quadro complessivo di aumento del disagio psicologico giovanile, la quota di genitori soli con figli che manifestano forme di disagio si attesta al 19%, contro una media del 7%, ad indicare una condizione particolare di fragilità. “Occorre poi guardare con attenzione – continua – anche alla condizione di difficoltà percepita dalle famiglie sottoposta alla somma tra compiti di cura degli anziani e dei minori e all’aumento, registrato nell’ultimo anno, delle famiglie che assistono persone disabili. Situazioni ad altissimo impatto sulla vita familiare”.
Il venir meno del Reddito di Cittadinanza, sostituito dall’Assegno di inclusione e dalle politiche attive previste con il Supporto formazione-lavoro incontra lo scetticismo della maggioranza (solo il 28% del campione esprime fiducia in tali misure). Basso il consenso (14%) espresso verso la Direttiva Case Green, ad oggi circa la metà delle famiglie dovrebbe effettuare interventi di efficientamento energetico, ma ben due terzi di esse dichiarano di non disporre delle risorse economiche necessarie.