Ho un lontano ricordo di quando – in una pausa lavorativa (il mio ufficio era a due passi dal Duomo di Milano) – aggirandomi tra tavoli e scaffali al primo piano della libreria Rizzoli in Galleria, ebbi la fortuna di incrociare Enzo Biagi, che, a pochi metri da quella esposizione, aveva un suo ufficio (che chiamava “la bottega”). Grazie all’intercessione della sua segretaria, la signora Pierangela, riuscii a farmi ricevere e a intrattenermi con lui per una mezz’ora, conversando sui temi dei suoi articoli e dei suoi libri. Ero sorpreso io stesso dalla sua ospitalità e, “molti anni dopo” (come scriverebbe García Márquez), ricordando quel primo incontro con il famoso giornalista e intervistando poi Rita Levi Montalcini, Ettore Scola, Pupi Avati, Giulio Andreotti, Milva Biolcati, Alda Merini, il card. Carlo M. Martini, il suo “amico speciale” card. Ersilio Tonini e altri testimoni del nostro tempo, mi radicai in un convincimento che non ho più abbandonato: i veri “grandi” sono persone semplici, perché ti mettono a tuo agio e si fanno capire, fino a scambiarsi le reciproche inadeguatezze, come mi ha insegnato Pupi.
Durante quella piacevole conversazione, chiedendo a Biagi che cosa aveva conservato tra i suoi ricordi degli incontri con i potenti della Terra, ricevetti una risposta disarmante (che avrei letto poi, un giorno, più articolata nella prefazione del libro di Susanna Tamaro Va’ dove ti porta il cuore):
“Di tutto ciò che ho conosciuto e imparato nella mia vita, ciò che considero veramente importante sono quei tre o quattro insegnamenti ricevuti dai miei genitori”.
Tante cose sono accadute intorno a me da allora. Alcune mi hanno forgiato, altre solo illuso. Ho conosciuto molte persone e ho sempre cercato le spiegazioni della vita negli altri e nelle relazioni umane. Se uno riannoda il gomitolo della propria esistenza, ci sono impressioni, suggestioni, emozioni, insegnamenti, esperienze che restano impresse, anche se lontane e a volte casuali. Episodi che si appalesano come presenti, mettono a fuoco dettagli che fanno parte della nostra riservata intimità, perché è sempre utile rivisitare il passato.
Tutto concorre a formare convincimenti: l’esperienza è fatta di corse, di soste, di bivi di fronte ai quali si deve scegliere. Ed è proprio vero, verissimo, che, anche se fisicamente non si torna indietro, il ricordo e la memoria sono gli scrigni preziosi a cui, consapevolmente o meno, attingiamo. Sono la sedimentazione del passato che si materializza come in un flash e ci fa capire che la vita è breve e imponderabile, e che aveva ragione Biagi a ricordare gli insegnamenti appresi in famiglia come fonte di verità per la vita.
Viene da chiedersi, guardandosi attorno, come il mondo cambi in fretta, troppo velocemente, e come, in famiglia, a scuola, nella vita sociale, i sentimenti prevalenti non siano più quelle pallide rappresentazioni che riaffiorano dalla nostra infanzia e adolescenza. Quando la cronaca si supera in efferatezza e ci sorprende con fatti nuovi che occultano il bene, la solidarietà, la buona educazione ricevuta, il rispetto, vuol dire che si materializzano mutamenti oggettivi che suscitano e radicano convinzioni ed emozioni personali e soggettive che non sempre riusciamo a realizzare.
Eppure hanno ragione Andreoli, Crepet, Morelli quando, con lungimirante insistenza, ci spiegano che le emozioni e i sentimenti sono il sale della vita, l’ancora a cui ci aggrappiamo per consolidare in noi stessi la consapevolezza della nostra identità. Sono le “farfalle dell’anima”, come le chiama Giulio Maira, ricordi che si trasformano in sogni e speranze o semplicemente in nostalgie che spesso ci consolano e ci danno la forza di vivere.
È fortunato chi ha avuto un’infanzia felice: questo devono impararlo le famiglie e la scuola di oggi, per immedesimarsi nel realizzare una buona educazione, con coscienza e motivazione. Serbando gratitudine e riconoscenza per gli insegnamenti ricevuti da chi ci ha preceduti. I miei genitori sono stati certamente migliori di me, e anche io – come mi disse Biagi – sono convinto di aver appreso da loro ciò che conta davvero nella vita, quelli che un tempo venivano chiamati valori.
Ciò che oggi mi sorprende è che vengano rimossi, cancellati, messi in discussione per far posto all’effimero e al breve. La “casa” era il posto in cui ci si ritrovava, “tornando la sera delusi piano piano”, come aveva scritto Luigi Tenco nel testo della canzone Un giorno dopo l’altro. Solo molto tempo dopo ci si rende conto – assaliti dagli inganni e dalle sorprese della vita – che davvero gli insegnamenti più veri e gratuiti, affettuosi e disinteressati, erano le parole, i consigli, le raccomandazioni, i segreti, perfino i “sì” e i “no” che ascoltavamo in famiglia.