[…] Non c’è dubbio che il giudice costituzionale abbia effettuato un’ampia opera di potatura di qualificanti disposizioni della legge Calderoli. E tuttavia è la stessa Corte di Cassazione, all’esito del raffronto tra la normativa originaria e quella sopravvenuta, a rilevare l’insussistenza dei presupposti per arrestare il procedimento referendario, con ciò confermando che i «principi ispiratori» che informano le due discipline non sono stati modificati (sent. n. 68 del 1978).
Ma se i principi ispiratori restano gli stessi, nonostante il «massiccio effetto demolitorio» della Corte costituzionale (ordinanza UCR del 12 dicembre), a maggior ragione si giustifica un quesito che coinvolga l’intero testo – pur “emendato” – della legge Calderoli, perché la ratio dell’iniziativa referendaria è sempre quella di evitare l’attuazione dell’autonomia differenziata così come disciplinata dalla legge n. 86.
E a ben vedere quello che resta in piedi di tale legge, anche dopo l’intervento ablativo della Corte costituzionale, è un impianto normativo comunque consistente, ove si consideri il combinato disposto delle disposizioni che hanno passato indenni il vaglio di costituzionalità e di quelle che sono state fatte oggetto di «reinterpretazioni “sananti”» (Ruggeri).
Un impianto – può aggiungersi – tuttora inevitabilmente pervaso da quel «comune principio» che lega le residue disposizioni oggetto di abrogazione e che il corpo elettorale continua a percepire nitidamente leggendo il quesito. Non sembra infatti necessario uno sforzo interpretativo particolarmente intenso per estrarre dalla pluralità delle norme sopravvissute ai correttivi della Corte un quesito che, nel suo nucleo essenziale, sollecita gli elettori a cancellare questa complessiva modalità di “guidare” il procedimento per ottenere l’autonomia differenziata.
A ben vedere, allora, il temuto effetto tellurico che la sentenza n. 192 avrebbe prodotto sull’oggetto del referendum non arriva ad esibire quella capacità trasformativa tale da minare alla radice la coerenza del quesito e il suo carattere unitario.
In altri termini, se terremoto c’è stato ha compromesso alcuni muri portanti, ma l’edificio pur gravemente lesionato è rimasto in piedi. Quindi l’esigenza di abbatterlo completamente per poi ricostruirlo su ben altre fondamenta mantiene intatte le sue ragioni.
Detto tutto ciò, formulare qualsiasi pronostico sull’imminente pronunciamento della Corte sarebbe un’operazione del tutto temeraria, specie in una materia come questa, caratterizzata da una giurisprudenza quantomai oscillante e dagli esiti particolarmente incerti. Nondimeno, il tentativo di fissare qualche punto fermo per provare a fare un po’ di chiarezza soprattutto a beneficio del cittadino elettore non è mai inutiliter dato.
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