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martedì, Febbraio 25, 2025
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Ruffini: “Siamo tutti in campo”.

Proponiamo qui di seguito il testo integrale della (molto attesa) relazione che l’ex Direttore dell’Agenzia delle Entrate ha tenuto ieri al convegno promosso a Milano da Comunità Democratica.

Siamo arrivati al 18 gennaio. Nelle scorse settimane c’era molta attesa. Troppa forse. Due diversi incontri. Milano e Orvieto. Un terzo incontro anche a Brescia. Tutti e tre oggi. Per una ragione. Il 18 gennaio è una data certamente evocativa. Almeno per qualcuno. Certamente per noi.

Per chi senza inseguire la cultura delle esagerazioni, cerca almeno di coltivare la memoria. E con essa preparare il futuro.

Era il 18 gennaio 1919 quando Sturzo lanciò il suo appello ai liberi e forti. Tante cose ci inducono a ricordare. Ma allo stesso tempo, il 18 gennaio è un giorno come un altro. Che ci chiede solo di essere vissuto. Una data che si ripeterà anche il prossimo anno e quelli a venire.

Domani sarà il 19, poi il 20 gennaio e così via. Perché la storia continua. Sempre. E il futuro si costruisce così. Passo dopo passo. Guardando avanti. Liberi dagli schemi, forti delle idee.

Forse qualcuno aspettava di trovare oggi annunci di soluzioni già pronte di fronte a una realtà tanto complessa. Ma questo, lo sappiamo, non è possibile. Non esiste una storia che possa essere scritta così.

Quanto alle identità…Vedo in una certa narrazione il rischio di ridurle quasi ad una caricatura. Ma anche esse sono complesse. Non possiamo ridurre l’identità di ciascuno di noi all’interno di una cornice rigida, circoscritta, fissa. Specialmente oggi, in un periodo storico in cui si costruiscono etichette solo per ritagliarsi spazi di visibilità e potere; o peggio per etichettare e colpire gli altri.

Le etichette sono solo un modo per non aprire gli occhi di fronte a una realtà sempre più complessa, che chiede invece di essere guardata in profondità per essere compresa.

Nessuna identità è immobile. Altrimenti muore. Anzi è già morta. Così anche la democrazia non è un verbo da declinare al passato. Ma qualcosa in divenire, come un gerundio che può compiersi solamente con l’impegno di ognuno. Con la partecipazione attiva, consapevole e più diffusa possibile.

Ecco perché quando sono stato invitato a partecipare, ho anticipato che sarei venuto:

– Non per parlare di me, o di un partito.

– Tantomeno di una corrente di questo o quel partito.

– Neanche per capire in quanti si riconoscono in un partito.

– Né, a maggior ragione, per contare quanti si rispecchino in una corrente.

– Neppure per parlare di un posizionamento in uno spazio geometrico astratto come il “Centro”.

– Ancor meno per discutere di come ritagliarsi uno spazio come partito o corrente sotto l’insegna della religione cattolica.

– Chi si professa cattolico sa perfettamente di essere chiamato (insieme ad altre culture) a essere sale e lievito della società. Ingredienti di cui si può sentire la mancanza, quando non ci sono, ma che certamente non devono coprire i sapori degli altri ingredienti. Sono chiamati ad esaltarli, non a coprirli. Un piatto non potrà mai essere assaporato e ricordato per il sale o il lievito. Ma sarà ricordato certamente per la loro assenza.

– Del resto, “partito” e “cattolico” possono persino essere considerati due concetti in contraddizione tra loro. Uno definisce la parte; l’altro l’universalità.

  • Pietro Scoppola scriveva che “la maturità del cattolicesimo dei politici italiani si misurerà proprio sulla capacità di abbandonare la nostalgia per un proprio partito esclusivo, e lavorare piuttosto per…la democrazia di tutti”.

 

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