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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Abbiamo bisogno di un nuovo partito, negarne l’importanza è sbagliato.

Ho seguito a distanza gli incontri di Milano e di Orvieto. Due occasioni – intrecciate – di riflessione politica interessanti. Come era evidente fin dalla loro presentazione, si sono sviluppate politicamente dentro il perimetro del Partito Democratico, anche se hanno avuto l’ambizione di alzare lo sguardo e di ricercare una connessione con tutto ciò che si muove nella società italiana. Fatto, questo, non proprio usuale, oggi, nel nostro Paese.

Sono dunque felice per queste iniziative: concorrono a qualificare – spero – la proposta politica di un Partito che non è il mio, ma ha un ruolo importante nella auspicata e potenziale “costruzione” di una credibile alternativa alla Destra. Tutto ciò è però solo una parte – seppur importante – di ciò che serve per questa “costruzione”.

Inutile girarci attorno: ciò che porta la Destra – non solo ovviamente in Italia – ad essere sempre più forte ha a che vedere con fenomeni culturali, sociali ed economici di portata strutturale. Fenomeni che hanno anche spiazzato l’idea tradizionale di “progressismo”.

Cos’è oggi – nella mente, nel cuore e nella “pancia” di larga parte del popolo – il progressismo? Progresso verso dove? A favore di chi? A quali condizioni? Progresso che suscita fiducia in un futuro migliore oppure paura, incertezza, senso di smarrimento? Le contraddizioni del tempo che viviamo mettono sotto stress tutte le parole d’ordine del tempo che fu.

Questa transizione che viviamo – nel mentre offre inedite opportunità alle élites, che infatti stanno vivendo una stagione di enorme crescita di potere, su ogni piano – produce spaesamento ed impoverimento in larga parte del popolo.  Uscire dalla transizione confusa del nostro tempo senza compromettere la qualità della Democrazia e senza accettare lo svuotamento del suo significato comunitario e della sua cifra partecipativa significa farsi carico di questa consapevolezza. 

La Destra lo fa, apparentemente. Per un verso ripropone il mantra populista di una società che non c’è più e più non ci sarà; dall’altro aderisce pienamente all’idea di una società guidata dai nuovi potenti, quelli che hanno saputo capitalizzare e riempire con le loro pulsioni oligopolistiche il vuoto della Politica degli anni segnati dalla globalizzazione senza regole, senza progetto, senza “umanesimo”, che – peraltro – una parte del progressismo americano e mondiale ha cavalcato al di là di ogni adeguata consapevolezza, rimanendone poi sotto le macerie.

Questa costruzione di una “alternativa” credibile alla deriva potente e globale della Destra presuppone coraggio, prospettive di lungo periodo; innovazione delle visioni e degli stessi strumenti politici e partitici.

Orvieto e Milano hanno aperto una riflessione importante, come dicevo, ma essa deve accompagnarsi a due ulteriori prospettive. Altrimenti rimane racchiusa dentro una sola questione di equilibri interni al PD. Cioè del principale partito, ma dell’opposizione. 

La prima. Serve un nuovo soggetto politico che dia voce e rappresentanza alla larga parte del popolo che oggi non vota PD, vota poco convintamente a destra oppure non vota affatto perché non si riconosce nella attuale configurazione dell’opposizione alla Destra e magari anche in alcuni suoi messaggi di contenuto astrattamente ideologico. O inizia a non riconoscersi più semplicemente nella Democrazia come valore.

La necessità del “Centro” – impropriamente percepito o presentato talvolta come luogo equidistante tra Destra e Sinistra: un luogo che, in questa fase storica, con la Destra sempre più forte, è arduo individuare – sta tutta qua. E può essere corrisposta solo dal basso, mettendo a fattor comune non già pezzi di nomenclatura o sigle autoreferenziali, ma esperienze vere che pur ci sono nei territori e nelle realtà sociali del Paese e che dovrebbero poter avere una loro proiezione anche nazionale. Magari attraverso una “forma partito” del tutto nuova rispetto a quelle del novecento.

Dissento perciò da una espressione usata da Romano Prodi, che pure considero un prezioso Padre nobile dell’Italia democratica e del quale mi onoro di essere da sempre sincero amico. “Non serve un nuovo partito”, ha detto. Invece serve eccome. Una coalizione capace di aprire nuove prospettive, convincere tanta gente oggi estranea alla politica, erodere i consensi crescenti verso la Destra non può essere composta solo dal PD (col rapporto difficile e tormentato con i 5 Stelle) e da qualche suo marginale satellite centrista.

Se la frase era rivolta a rassicurare il vertice del PD che le iniziative di Orvieto e Milano non erano tese a “scindere” il partito, portando al di fuori di esso le componenti liberali e cattolico democratiche, credo che sia stata del tutto opportuna e perfino scontata. Il problema è che non tutti quelli che si richiamano a queste tradizioni culturali sono oggi nel PD o intendono entrarci, pur non considerando affatto come compatibile con la propria visione culturale e politica l’adesione all’area della Destra. Questo insieme oggi disperso e incerto di persone, movimenti locali e nazionali, esperienze civiche e realtà sociali impegnate nei territori ha bisogno eccome di un nuovo autonomo strumento politico di rappresentanza anche nazionale. 

Secondo. Serve una nuova idea di “coalizione”, che superi sia la “reductio ad unum” (il PD a vocazione onnicomprensiva, tuttalpiù disposto a costruire o tollerare qualche piccolo satellite), sia la confusa e poco convincente tendenza ad alleanze puramente elettorali tra soggetti politici tra loro poco compatibili sul piano ideale e progettuale.

Una idea di coalizione che sia meno di un “partito unico” e più di una semplice “alleanza elettorale”. Esattamente come – nei suoi tempi migliori – é stato l’Ulivo: comunità politica unita su un progetto condiviso; guidata da una leadership autorevole e credibile; fondata sul pluralismo organizzato delle sue componenti culturali e politiche; sintesi tra autonomia dei singoli soggetti e patto leale e solidale per il Paese e per l’Europa.

La mia opinione è che solo queste tre iniziative messe assieme (una nuova visione strategica dentro il PD; un nuovo soggetto politico autonomo capace di interpretare le attese di chi “sinistra” non è ma non intende per questo aderire alla deriva della destra; una nuova concezione di “coalizione” – credibile e coraggiosamente riformatrice – per il Paese e l’Europa) possono segnare una svolta, dando risposte non banali alle sfide lanciate – sul piano pre politico – dalla recente Settimana Sociale della CEI di Trieste ed al movimento degli amministratori cattolici che ne è sortito e offrendo una prospettiva di futuro alla “speranza” che ancora, nonostante tutto, alberga nelle menti e nei cuori di tante persone.