E così sono cinquant’anni esatti, perché proprio a gennaio 1975 il «trucco» di Rimmel appariva sull’orizzonte discografico della Rca, destinato a rimanerci come nessun altro dei dischi di Francesco De Gregori, ben sessanta settimane e con più di quattrocentomila copie vendute. Dal punto di vista esclusivamente discografico, il suo quarto LP in studio (se vogliamo includere nel numero Theorius Campus, inciso con Venditti nel 1972) fu un successo.
Cosa che creò al cantautore romano non pochi problemi, perché quel disco si allontanava dalle monocordi ballads in stile dylaniano che per buona parte regnavano nei precedenti dischi e che risentivano fortemente di un clima culturale marcato non solo da Dylan ma anche da Cohen, o da quel Fabrizio De André che divenne suo amico e compagno di strada. E secondo alcuni guardiani della rivoluzione si allontanava dall’impegno ideologico, con l’apparente cedimento alla canzonetta facile e amorosa come Buonanotte Fiorellino. Appunti, ramanzine, richiami alla coscienza politica che gli costaro-no, l’anno dopo, la farsa del processo “proletario” al Palalido di Milano, che lo portò alla rinuncia ad apparire in pubblico per un po’ di tempo.
In realtà l’attualità politica si affacciava nel disco: basti pensare a Signor Hood che era un chiaro riferimento alle battaglie di Marco Pannella, il quale prima della proposta del compromesso storico di Berlinguer era, come da titolo, un solitario arciere costretto ad affrontare le cavallerie ben organizzate del Partito Comunista e della Democrazia Cristiana. Una lotta, fatta anche di digiuno a oltranza per il sovraffollamento delle carceri, che fin dalla dedica nel retrocopertina («A M., con autonomia») viene ammirata, anche se con la distanza di chi non voterà radicale. Certo, nel disco appare anche il personale, come nel caso della canzone che dà il titolo al LP, dedicato a una ragazza che lo aveva piantato per mettersi con un altro. Tutto qui? Dipende. Perché la più banale storia di un addio, e il dolore non è mai banale, diventa altro, in questo caso ricordi di serate in Gallura con De André e la prima moglie, il gioco e la magia delle carte, il trucco non solo esteriore, l’irruzione e il trauma dell’addio.
Come nel caso di Piccola mela, riferimento alla canzone popolare sarda, e a quel semplice contesto di speranza d’amore, di desiderio e di dubbio che fanno le storie di tutti i tempi e di ognuno, e che però venne attaccata come oltraggioso cedimento alla cantabilità e alla semplicità. Come se si potesse cancellare l’amore, il dolore di un “semplice” addio dal canzoniere popolare di ogni latitudi-ne.
Se è per questo, Le storie di ieri contenevano un preciso, evidente riferimento al ventennio fascista, ma senza la virulenza della condanna frontale, il che contribuì al clima di ostilità verso il disco e il cantautore. In realtà quella canzone conteneva elementi di grande attualità, perché affrontava i luoghi divenuti comuni di chi ricordava anche gli elementi positivi del regime, con il conseguente rinnovamento di linguaggio e modalità, attraverso il celebre «i nuovi capi hanno facce serene e cravatte intonate alla camicia», che si inserisce, a mezzo secolo di distanza, nel dibattito dei nostri giorni sulla possibilità di trasformazione – più o meno di facciata – del fascismo.
Fatto sta che Rimmel segna un cambiamento nel cammino di De Gregori: certo rimangono alcuni elementi di ermeticità dei testi, ma, e questo fece arricciare il naso a molti, l’amore, la cantabilità, il popolare, prendono il sopravvento sull’oscurità dei precedenti dischi.
Un’oscurità che però aveva contribuito a fare l’unicità, in Italia, di canzoni in cui emergevano non solo le influenze di cui abbiamo parlato ma elementi diversi, come il Dante del «fanno dolore, e al dolor finestra» e dei due angeli nel canto VIII del Purgatorio in Finestre di dolore.
In ogni storia umana ci sono cambiamenti, che vengono a volte scambiati per regressioni: in realtà sono manifestazioni di una ricerca al di là delle categorie critiche.