10.2 C
Roma
mercoledì, Febbraio 12, 2025
Home GiornaleNon si torna all’Ulivo: tutti sparsi e tutti uniti, basta chiamarsi opposizione.

Non si torna all’Ulivo: tutti sparsi e tutti uniti, basta chiamarsi opposizione.

Nuova formula operativa per il centrosinistra secondo l’idea di Franceschini di correre separati. Una proposta che ha riaperto il dibattito tra le forze di opposizione. Il problema rimane l’assenza di un vero partito di centro.

Con la consueta sagacia politica e la consolidata conoscenza dei sistemi elettorali, e pure con quella punta di disincanto che lo contraddistingue, Dario Franceschini ha spiazzato l’intero centrosinistra con un’idea che ai più è parsa provocatoria ma che invece ha una sua intrinseca logica pur nella sua semplicità.

La proposta è nota: ogni partito oggi all’opposizione della maggioranza di destra-centro si presenti autonomamente alle prossime elezioni politiche e poi, dopo le votazioni, lavori alla costruzione in Parlamento di una coalizione governativa: un obiettivo a suo avviso realistico, perché la sua opinione è che l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni comincia già ora a mostrare qualche crepa e a denotare qualche affanno che l’elettorato al momento decisivo saprà valutare, e non positivamente.

Lo sforzo obbligato che le forze di minoranza dovranno produrre sarà concentrato nella individuazione di un candidato unitario nei collegi elettorali uninominali che assegnano un terzo dei seggi. Cosa naturalmente non semplice ma propedeutica al successivo, auspicabile, accordo di governo da siglare dopo le elezioni.

Le critiche sono arrivate subito, alternate a qualche segnale di attenzione, peraltro limitato ai 5 Stelle e ad alcuni esponenti del Pd.  Il professor Prodi, padre nobile dell’Ulivo (di cui ricorre in questi giorni il trentennale ma che Franceschini ha dichiarato non essere più proponibile nel contesto attuale) ha opposto la motivata ragione per la quale è nella costruzione di un programma comune che si realizza una possibile alternativa politica. Nella sua intervista, peraltro, Franceschini aveva ricordato, non senza malizia, “le 300 pagine di programma assemblato a tavolino” dalla fu Unione nel 2006, e si sa come è finita.

Bisogna riconoscere, a dire il vero, che rimandare ogni possibile accordo a dopo il voto potrebbe ingenerare un’infinita e poco commendevole trattativa (anche qui il ricordo degli oltre 100 sottosegretari del secondo governo Prodi è alquanto istruttivo) che certamente disgusterebbe molti cittadini, spingendoli nuovamente verso l’astensionismo elettorale e la totale sfiducia nella politica, entrambi elementi gravemente nocivi per ogni democrazia.

Inoltre, come ha esposto Alessandra Ghisleri su la Stampa, la maggioranza dei sostenitori del Pd preferisce un’alleanza con la sola sinistra (il cosiddetto “campo largo”), escludendo dalla stessa i “centristi” di Renzi e Calenda. Al tempo stesso, però, limitandosi peraltro ad una mera somma aritmetica che poi è tutto da vedere se alla prova dei fatti si rivelerà attendibile nel suo automatismo, è solo con quello che la nota sondaggista definisce “campo larghissimo”, dunque aperto anche ai centristi, che l’attuale minoranza parlamentare può avvicinarsi, sin quasi a eguagliarli, ai consensi del destra-centro.

E allora? Allora tutti sappiamo che è molto difficile, per non dire impossibile, convincere – prima del voto – elettori di sinistra o del M5S a votare un candidato proveniente dai centristi, e lo stesso vale per il contrario. E dunque, pur nella sua impostazione tatticistica, l’idea di Franceschini mira a superare questo problema (che ad un osservatore attento come egli è appare assolutamente chiaro) e a posporlo ad una fase teoricamente più favorevole (quella in cui si lavora insieme per arrivare a Palazzo Chigi). Una soluzione pragmatica, se vogliamo. E tutta da verificare, naturalmente.

Epperò, al fondo, Dario Franceschini rivela, indirettamente, il punto di debolezza gigantesco del “campo largo”, anche se la maggioranza del Pd – dirigenti e sostenitori – non lo vuole vedere: l’assenza di un forte partito di centro disponibile a costruire, politicamente e programmaticamente, un’alleanza di centro-sinistra solida e credibile, e quindi votabile. Un ruolo che, complici gli errori autodistruttivi compiuti sin qui, Azione e Italia Viva non sono in grado di interpretare. Fin quando questo spazio politico rimarrà vuoto sarà ben difficile sconfiggere il destra-centro guidato da Giorgia Meloni. Se venisse invece riempito l’impresa diverrebbe al contrario possibile, e forse più che possibile. Franceschini lo sa bene e ha immaginato un espediente utile ad aggirare il problema. Confidando però nel riempimento di quel vuoto.