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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Amministratori locali in Rete: un annuncio d’impegno tra ambizione e velleità.

Dare una veste unitaria all’annunciata “carica dei 600”  (amministratori) di area cattolica presenta rischi già emersi nel passato. Anche stavolta può vincere una sorta di epoché sul classico “che fare” rispetto alla politica.

Il 14 e 15 febbraio Roma ospiterà l’incontro di circa 600  eletti nei comuni e nelle regioni per dare vita alla Costituente della Rete degli amministratori locali di area cattolica. Vi dovrebbero prendere parte i rappresentanti di Azione Cattolica, Acli, Agesci e Sant’Egidio, nonché mons. Luigi Renna, presidente della Commissione della Cei per i problemi sociali. Anche l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha garantito la sua presenza. Tutto è nato a Trieste nel corso della Settimana Sociale organizzata dalla Conferenza episcopale a metà del 2024. Qui si forma un coordinamento informale che assume l’onere di un’iniziativa mirante ad allargare i confini del dialogo e della collaborazione tra realtà e soggetti diversi, spesso poco disponibili a farsi coordinare.

L’obiettivo, spiega Francesco Russo, promotore dell’iniziativa e vicepresidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, è ampliare la partecipazione coinvolgendo anche quelli che nelle singole diocesi si occupano di formazione. “Molti riscoprono la voglia di partecipare alla politica”, osserva, “ma trovano un punto di riferimento più accessibile nella nostra rete rispetto ad altre realtà”. Alla fatidica domanda “sarà un nuovo partito?”, Russo così risponde: “No, non è un nuovo partito, né una corrente e né una lobby. Vogliamo capire se su alcuni punti programmatici legati al territorio – per esempio disagio giovanile, sostenibilità ambientale delle nostre città, welfare territoriale, casa, nuove forme di partecipazione – riusciremo a preparare una mozione comune con proposte precise, da presentare in tutte le Regioni e in 100 città”.

Ora, lo sforzo di dare una veste unitaria, fatalmente politica, a questa “carica dei 600” presenta rischi già emersi negli anni passati. Bastarono due assemblee rutilanti – Todi 1 e Todi 2 – per capire che l’unità di direzione era ben lungi da tradursi in uno schema chiaro, con scelte conseguenti. Ognuno rimase acquattato nelle propria tana in attesa di tempi migliori. A maggior ragione le cautele sono d’obbligo oggi, nessuno ha voglia d’inciampare sulla pietruzza del velleitarismo. Già mons. Renna aveva sottolineato, sempre a Trieste, che i cattolici devono ispirarsi non a un nuovo partito, ma a un “nuovo spartito”. Una formula bella e persino suggestiva, certo, ma priva di concreti risvolti operativi.

Alla luce del passato, il timore è che si lancino messaggi impegnativi che risultino però, alla resa dei conti, privi del necessario substrato connettivo e dell’altrettanto necessario ancoraggio strategico. Il problema politico dei cattolici non si risolve con semplici tecniche di comunicazione, come quando si sceglie per l’appunto che il titolo del convegno romano suoni effettivamente così: “Perfino più ambizioso di un partito”. Ebbene, con tutto il rispetto per le legittime ambizioni, c’è da misurarsi con la forza delle cose: anche stavolta può vincere una sorta di epoché sul classico “che fare” rispetto alla politica.