Anche chi come me, pur dall’opposizione, aveva riconosciuto a Giorgia Meloni meriti politici e personali – arrivando a scrivere qualcosa tipo “Salvare la Meloni per salvare insieme l’Italia!” – oggi si trova a fare i conti con una disillusione profonda. Quel pragmatismo che sembrava animarla nel posizionamento internazionale si rivela sempre più un’adesione opportunistica alle circostanze, priva di una visione valoriale coerente. L’idolo del potere si impone come bussola esclusiva del suo agire.
Prendiamo la sua doppia scelta, almeno in apparenza, per l’Europa e per l’alleanza atlantica. Ciò che poteva sembrare una condivisione sincera di valori si rivela ora una pura necessità strategica. Meloni ha capito che, per garantirsi un posto al tavolo internazionale, l’unica strada era accodarsi al carro giusto. Il risultato più evidente è l’allineamento con Ursula von der Leyen, simbolo di quell’Europa istituzionale che Meloni aveva tanto criticato in passato.
Ma è nei dettagli delle scelte recenti che emerge il vero volto di questa politica fatta di opportunismi e contraddizioni.
Due episodi, in particolare, mettono in luce questa ambiguità. Il primo riguarda la nota vicenda di Almasri, il criminale rispedito in Libia in fretta e furia malgrado il mandato d’arresto a suo carico della Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aia. E poi, a distanza di qualche giorno, la decisione di non sottoscrivere la dichiarazione di solidarietà verso la stessa Corte, firmata da 79 Paesi europei e occidentali: uno strappo, questo, davvero clamoroso.
Nella sostanza, la Meloni si muove su un doppio binario: da un lato, strizza l’occhio all’Europa quando conviene; dall’altro, si qualifica come “trumpiana doc” nei momenti in cui è più utile cavalcare l’onda sovranista. È una politica del “qui e ora”, dove le grandi alleanze internazionali e i valori di solidarietà e giustizia vengono sacrificati sull’altare del calcolo immediato.
Ciò che più colpisce è il danno che questa linea infligge all’immagine dell’Italia. Infatti, l’adesione al trumpismo che tende a delegittimare le grandi agenzie internazionali, istituite a tutela dei popoli e dei diritti umani, è una scelta che lascia un segno profondo. Tant’è che la CPI, a sua volta, ha comunicato in queste ore l’apertura di un procedimento sull’Italia, nel mirino proprio per la mancata consegna del ricercato libico.
Insomma, la Presidente del Consiglio sembra voler giocare su più fronti senza comprendere che la credibilità politica esige scelte coerenti, anche quando sono scomode. In definitiva, la lezione è amara: ciò che si svela non è un pragmatismo illuminato, ma un potere senza bussola, capace di orientarsi solo in base alla direzione del vento.