13.3 C
Roma
giovedì, Febbraio 27, 2025
Home GiornaleIl centro (di gravità) permanente

Il centro (di gravità) permanente

Se i popolari tedeschi ed europei agiscono per un’Europa più forte, questo poco si concilia con le posizioni ondivaghe che si riscontrano in Italia, dove la Meloni non ha ancora deciso cosa fare da grande.

L’inglese è una lingua essenziale e complessa allo stesso tempo: può capitare che la stessa parola abbia più significati in una lingua più variegata come l’italiano. Il termine “right” può significare “bene” “diritto” “destra”, “esatto”, “giusto”. Anche per questo, lunedì mattina in Parlamento europeo, lo scambio di battute più in voga tra tedeschi e resto d’Europa era “Hai votato bene (right) ieri?”. “Certo, ho votato bene (right). Per questo non ho votato a destra (right)”.

Dietro queste battute c’è tutta la cultura della Cdu/Csu, un partito che esiste dal Dopoguerra e ha governato per lunghi cicli, prima dal ‘49 al ‘69 con Adenauer, Erhard e Kiesinger, con Kohl dall’82 al ‘98, poi con Merkel dal 2005 al 2021 e ora torna al governo con Merz. Un partito aperto e diffuso che fa delle esperienze locali (un terzo dei consiglieri dei Länder sono Cdu) il punto di forza per interpretare i bisogni dei territori e della visione geopolitica la risorsa chiave per agire a livello mondiale: basti ricordare, al riguardo, il peso specifico dei cancellieri federali nello scacchiere globale prima e il ruolo di Ursula von der Leyen oggi. Non a caso, sono stati i democristiani tedeschi a gestire passaggi cruciali per la Germania e l’Europa, dalla ricostruzione all’inizio del processo di integrazione europea, dal crollo del Muro di Berlino, alla riunificazione tedesca, agli accordi di Maastricht. Da sempre saldamente ancorata al centro, la Cdu ha mostrato di essere anche un partito contendibile, al punto da aver cambiato leader tre volte negli ultimi anni passando da Annegret Kramp-Karrenbauer (2021) a Friedrich Merz nel 2022, con, in mezzo, il breve mandato di Armin Laschet: piattaforme politiche diverse dentro lo stesso soggetto politico.

Guardando ai Paesi maggiori, insieme a quello spagnolo e polacco, il Ppe tedesco gode di splendida forma, a differenza di quanto, purtroppo, accade in Francia e Italia. Sono due casi diversi ma simili: alle ultime primarie dei Républicains si sono sfidati 5 candidati, troppi per un partito che vale il 6,5% delle preferenze dei francesi. In Italia, specie negli ultimi anni, si avverte la necessità di un centro più forte, concreto, distinto e distante sia dalla deriva antieuropeista della destra sia dalle ideologie scriteriate della sinistra. Punti di forza, oltre la leadership, devono essere, come in Germania, la capacità di aprirsi localmente a esperienze territoriali e il posizionamento internazionale. E qui ritorna il peso della politica estera. Se i popolari tedeschi e quelli europei agiscono per un’Europa più forte, questo poco si concilia con le posizioni ondivaghe che si riscontrano in Italia, dove la Meloni non ha ancora deciso cosa fare da grande, se lavorare alla rinascita dell’Ue o il tentativo di fare da pontiera fra le politiche antieuropee di Trump e il resto dell’Unione. Tentativo che rischia di naufragare ora che il Ppe, con 15 Capi di Stato e di governo, 15 Commissari europei (tra cui la Presidente) e la Presidente del Parlamento europeo cambierà marcia, imponendo una svolta. Solo una forza europeista, aperta e responsabile può assolvere a un ruolo fondamentale per il futuro dell’Italia e dell’Europa.