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martedì, Marzo 4, 2025
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Dibattito | La mobilitazione di cui l’Europa ha bisogno non consiste nel riarmo.

La manifestazione proposta da Michele Serra non convince soprattutto se mira, nemmeno troppo velatamente, a dare una copertura morale ad un incombente piano straordinario di investimenti militari. L’Europa “riarmi” il suo welfare.

Non convince l'”adunata europeista” di Michele Serra, così tanto supportata da certa stampa. Non convince nella misura in cui, come sembra, non intende esprimere esplicitamente una piattaforma politica che non sia un generico e poco impegnativo “volemose bene, siamo europei”. Non convince soprattutto se mira, nemmeno troppo velatamente, a dare una copertura morale ad un incombente piano straordinario di investimenti militari finanziato giusto con qualche centinaio di miliardi di euro.

Si badi bene: una difesa comune è sicuramente prioritaria per consentire alla Unione Europea di giocare il ruolo impostole dal tornante della storia che stiamo vivendo in questi giorni, ma la stessa non necessita di ulteriori investimenti economici straordinari: nel 2024 la spesa militare complessiva dei 27 Paesi UE risulta già̀ superiore del 58% rispetto a quella russa. Essa però, questo il problema, è pesantemente frammentata nei singoli sistemi di difesa nazionali. L’investimento urgente è quindi politico: i governi dovrebbero cedere sovranità̀ ad un coordinamento comunitario al fine di coordinare e ottimizzare le già̀ cospicue risorse a disposizione.

Ma chi crede seriamente che questo possa avvenire?

C’è ancora un residuo di speranza sulla possibilità̀ concreta che quel carrozzone immobile che si è rivelato essere l’Unione a 27 (un vero e proprio ring in cui sulle scelte di politica estera, energetica, economica ed industriale si danno battaglia quotidianamente almeno tre schieramenti di Paesi con interessi strategici incompatibili) possa effettivamente arrivare a un minimo di azione politica unitaria?

Forse, allora, una manifestazione autenticamente europeista dovrebbe basarsi su altro, e precisamente su cosa si vuole fare per reagire dal basso alla situazione drammatica in cui noi europei ci siamo lasciati invischiare per interessi altrui dalle nostre leadership: per lo più traballanti in patria quelle nazionali, e inerti, insipienti o addirittura complici di interessi d’oltreoceano quelle comunitarie.

Servirebbe sì urgentemente una forte reazione dal basso fondata su un vero ed autentico spirito europeista, ma per andare a riscoprire i motivi fondativi dell’Europa stessa e quindi, di conseguenza, vocato alla garanzia e mantenimento della pace grazie alla politica e alla diplomazia.

Lo sforzo economico straordinario che si dovrebbe chiedere oggi ai cittadini europei e la mobilitazione che andrebbe portata avanti con tutta la determinazione che la situazione internazionale richiede, dovrebbero esser volti prioritariamente a riaffermare quell’elemento che in passato ha reso l’Europa un vero faro di civiltà sia a livello mondiale sia all’interno dello stesso Occidente e che è stato progressivamente smontato: lo stato sociale.

È proprio il welfare state, o meglio la sua progressiva demolizione nel corso degli ultimi decenni, che ha infatti portato in tutta Europa alla crescita costante di insicurezza sociale riversatasi poi nei partiti di estrema destra, utile grimaldello dei centri di potere e potentati economici extra UE. Una demolizione iniziata in modo chirurgico, ma inesorabile, attraverso quel virus che, a partire dagli anni ’90 e sotto il nome di Terza Via, ha progressivamente preso possesso dal loro interno di forze politiche storicamente progressiste e addirittura snaturato il significato di termini come “riformismo”.

Forze politiche che, tradendo le proprie culture e tradizioni, si sono rese responsabili di politiche degne della peggiore destra liberista ed individualista, consolidando e aggravando diseguaglianze – per di più tramite la truffa ideologica della “meritocrazia” – e introducendo, infine, surrettiziamente schemi e parametri di giudizio sociale tipici da “teologia della prosperità̀”. È quindi certamente l’ora del coraggio e dell’orgoglio europeo e europeista, ma per riportare a reale punto di forza e coesione, oltre che al centro della nostra azione, ciò che veramente ha reso l’idea di Europa un unicum di progresso e civiltà. Non certo le armi.