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Migranti, la Cassazione: Italia aveva l’obbligo di soccorso in mare

Milano, 7 mar. (askanews) – “L’obbligo del soccorso in mare corrisponde ad una antica regola di carattere consuetudinario, rappresenta il fondamento delle principali convenzioni internazionali, oltre che del diritto marittimo italiano e costituisce un preciso dovere tutti i soggetti, pubblici o privati, che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo esistente in qualsiasi zona di mare in cui si verifichi tale necessità; come tale esso deve considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”. Lo scrivono i giudici delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nell’ordinanza con cui condannano il governo italiano al risarcimento dei danni a favore di un gruppo di migranti trattenuti sulla nave diciotti dal 16 al 25 agosto del 2018.

Nel provvedimento, i giudici evidenziano che l’italia ha aderito a una serie di Convenzioni internazionali che “costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, non possono costituire oggetto di deroga sulla base di scelte e valutazioni discrezionali dell’autorità politica, poiché assumono, in base al principio ‘pacta sunt servanda’, un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna”.

L’Italia “era tenuta” organizzare lo sbarco dei migranti a bordo dalla nave Diciotti “nel più breve tempo ragionevolmente possibile”sottolineano i giudici delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nell’ordinanza con cui condannano il governo italiano al risarcimento dei danni a favore di un gruppo di migranti trattenuti sulla nave Diciotti dal 16 al 25 agosto del 2018.

In base alla convenzione Sar, si legge in un passaggio del provvedimento, “lo Stato responsabile del soccorso deve organizzare lo sbarco ‘nel più breve tempo ragionevolmente possibile’, fornendo un luogo sicuro in cui terminare le operazioni di soccorso”. E “per ‘luogo sicuro’ si intende un ‘luogo’ in cui sia garantita non solo la ‘sicurezza’ – intesa come protezione fisica – delle persone soccorse in mare, ma anche il pieno esercizio dei loro diritti fondamentali, tra i quali, ad esempio, il diritto dei rifugiati di chiedere asilo”.

I singoli Stati, evidenziano ancora i giudici della Suprema Corte, hanno sì un margine di “discrezionalità tecnica”, ma “solo ai fini dell’individuazione del punto di sbarco più opportuno, tenuto conto del numero dei migranti da assistere, del sesso, delle loro condizioni psicofisiche nonché in considerazione della necessità di garantire una struttura di accoglienza e cure mediche adeguate”.

Il rifiuto del governo italiano di autorizzare lo sbarco dei migranti a bordo della nave Diciotti non può essere considerato un “atto politico sottratto al controllo giurisdizionale”. Secondi i giudici della Suprema Corte, più che di un atto politico “si è in presenza di un atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, al fine di contemperare gli interessi in gioco e che proprio per questo si innesta su una regolamentazione che a vari livelli, internazionale e nazionale, ne segna i confini. Le motivazioni politiche alla base della condotta non ne snaturano la qualificazione, non rendono, cioè, politico un atto che è, e resta, ontologicamente amministrativo. Non vi è dunque difetto assoluto di giurisidizione”.

In particolare, rilevano ancora i giudici, “nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate. E tra tali vincoli rilievo primario ha certamente il rispetto e la salvaguardia dei diritti inviolabili della persona. L’azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati”.