Mentre le cancellerie dei paesi, non solo europei, stanno valutando il repentino capovolgimento della politica estera americana, Donald Trump non perde tempo con i suoi decreti a sbandierare misure draconiane, costituiti, al momento, soprattutto da introduzioni o inasprimenti di dazi commerciali, nell’idea di creare una cintura protettiva dell’industria statunitense.
Eppure, contrariamente al suo disegno, le borse stanno registrando un forte calo tra i titoli più blasonati, tra cui Tesla di Elon Musk, mentre riappare lo spettro dell’inflazione e della recessione.
Sul versante del negoziato sul conflitto ucraino, a passo spedito sembrano procedere a Riyad i preliminari a quello che dovrebbe essere il “tavolo per la pace”.
Giusto ieri si è avuto un incontro preventivo (forse per saggiare le reali intenzioni del presidente ucraino) tra Zelensky e il segretario di Stato Rubio, che non ha mancato di sciorinare un perentorio protocollo delle rinunce e delle disponibilità che l’Ucraina dovrà dare, sebbene sembra permanere ogni ostracismo intorno ad una diretta partecipazione di Zelensky al tavolo dei rappresentanti delle due superpotenze nucleari.
E intanto il Cremlino intensifica l’offensiva nelle regioni del Donbass approfittando dell’annunciato blocco delle forniture militari deciso da Trump, e Zelensky risponde lanciando droni verso Mosca.
La Difesa comune europea della Von der Leyen, un ectoplasma che non convince
In questo scenario appaiono assai stupefacenti le dichiarazioni di ieri della presidente Von der Leyen, pronunciate in seno al parlamento comunitario, a proposito del riarmo europeo, quando nell’usare l’espressione: difesa comune, citando peraltro le profetiche parole di De Gasperi sul tema, che però presupponeva il completamento del processo comunitario, nulla è sembrato successivamente ricavarsi in direzione di un urgente avvio di un necessario mutamento della fisionomia istituzionale dell’Unione per consentire l’effettivo onere decisionale, organizzativo ed attuativo sotto la bandiera dell’Ue.
E’ evidente che se c’è una cosa che in queste contingenze non serve è proprio l’andare a delineare prospettive inconcludenti poco compatibili con l’attuale assetto istituzionale e rappresentativo degli organi dell’Ue, le cui decisioni possono facilmente essere sabotate da un solo voto contrario in seno al consiglio europeo.
Solo un parlamento europeo, dotato di effettiva rappresentatività e di autentico potere legislativo, nel cui esercizio si esprime, in un sistema democratico, la sovranità popolare, in questo caso sovranazionale, tipica di ogni forma federale, potrebbe varare decisioni autonome e vincolanti rispetto ai singoli Stati membri.
Così più che il segno di un nuovo corso comunitario, fondato sul perseguimento, in tempi rapidi, di un modello di Stato federale, presupposto per l’effettiva attuazione ed organizzazione di una difesa comune europea, sembra assistere a un fai da te (con tutte le implicazioni che una incontrollata corsa al riarmo può causare all’interno di politiche nazionaliste, oggi sempre più temibili, anche all’interno del quadrante continentale europeo) che ogni Stato è chiamato ad affrontare all’interno dei propri bilanci, con l’unica attenuante che qualsiasi sforamento nazionale del patto di stabilità non andrà sotto censura.