Quell’idea leggera e gentile che si intendeva tradurre nella manifestazione indetta da Michele Serra e dal quotidiano La Repubblica, aveva reso la mia amica Alice entusiasta. “Finalmente possiamo far contare le nostre coscienze e confrontarci nell’idea di un’Europa dei cittadini, che torni ad essere, nel concerto geopolitico, promotrice di pace”. Così non seppe attendere il giorno dopo per parteciparmi, come siamo soliti fare, quasi tutti i giorni, le sue impressioni e soprattutto le tante perplessità ricavate da quell’evento.
In fondo l’idea di una piazza sotto l’unica bandiera dell’Europa l’aveva galvanizzata. Mi chiamò mentre ancora i Tg della sera si snodavano tra i più disparati commenti. Non la sentii entusiasta. Era attraversata da tante perplessità soprattutto per certa conduzione dove ha campeggiato un certo velleitarismo della sinistra, come se si fosse deciso di non superare mai una certa impronta identitaria.
“..Eppure, mi ripeteva Alice, c’era tanto da ricordare nel cammino di un’Europa dei popoli che, nella prima metà del secolo breve, si era posta come baluardo di democrazia e antidoto ad ogni forma di fascismo, nazionalismo e revanscismo che avevano messo in ginocchio la fragile convivenza degli Stati europei dopo la pace di Versailles, con cui di decretò un nuovo assetto del continente europeo dopo la grande guerra”.
E ancora proseguiva nel groviglio di tanta amarezza: “Una piazza gremita, un copione sedicente multiculturale che si è snodato nei tanti interventi, che pur nel crogiolo di tante posizioni ha volutamente non dato voce a quell’area culturale cattolico democratica che pure non aveva fatto mancare, nel segno dell’Europeismo di De Gasperi la propria adesione”.
E non potevo non convenire a tanta delusione. Del resto il giorno prima, di fronte ad un andirivieni di adesioni, talune dal palese segno opposto rispetto ad altre, non mi era stato difficile avanzare dubbi e interrogativi su quale Europa si avesse in mente da parte di questi promotori. Alice aveva ragione: “Non posso che condividere le tue perplessità. Del resto mi aveva convinto poco quel contesto in cui si incrociavano posizioni così antitetiche”.
Le diversità sono una ricchezza ma non quando si deve adottare un idea comune. Quale Europa proponiamo se accanto a chi si fa bandiera di un’idea contro ogni politica di riarmo, che tradotto in termini di peso politico non vuole dire altro che l’Europa rimanga serva e inerme (tra cui la linea di Riccardi della Comunità di Sant’Egidio e della Schelin del Pd), si avesse, sotto la stessa bandiera dell’Europa, chi invece, intende privilegiare, anche a costo di una consistente riduzione delle politiche di welfare, un adeguato riarmo, ma anche qui con l’ulteriore distinguo di chi nell’idea di una comune difesa europea e chi preferendo che ciò passasse attraverso gli Stati nazionali?
A tal proposito non è da escludere che non si siano incuneate adesioni nell’idea di un’Europa nutrice di revanscismi e nazionalismi incontrollati, tanto cara a certe destre.
E poi, cara Alice, troppi sermoni orientati, non certamente nel segno delle pluralità di pensiero, come, almeno si prefiggeva di essere questo raduno all’insegna di un’unica bandiera, quella dell’Europa, non hanno contribuito a dare un segnale chiaro ai nostri governanti, ai tanti cittadini che non hanno partecipato, e soprattutto alle cancellerie degli altri paesi, non solo europei. L’impressione che se n‘è ricavata non ci ha mostrato una piazza dal pensiero articolato nel segno del più ampio pluralismo di valori.
Certe amnesie non sono accettabili. Nessuno degli intervenuti ha portato il ricordo del grande sforzo di idee e di elaborazione che questa comunità europea deve a Schumann, De Gasperi, Adenauer e Monnet. Quella grande intuizione di costruire una comune Europa dei popoli come luogo di convivenza pacifica nel pieno rispetto dello stato di diritto, nella coesione e nel progresso comune, fece da leva e da collante univoco, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale.
Se da una parte bene ha fatto chi ha paragonato quella piazza ad una nuova Ventotene, quasi avvertendo della similitudine che in questi frangenti le improvvise deformazioni e gli inaspettati capovolgimenti dei più elementari canoni della democrazia, che sono alla base dei paesi che di essa ne sono stati gli artefici più credibili nella storia dell’umanità contemporanea, ci suggeriscono, non altrettanto esaltante ci appare la circostanza che, tra i tanti illustri interventi, nessuno ha citato o ricordato il pregevole pensiero di quegli emeriti padri dell’integrazione europea, a cominciare da De Gasperi, mai resa compiuta dai successivi governanti, o abbia reso onore a quella nobile e funzionale idea di Europa in una comune governance sovranazionale, che prevedeva tra le immediate attuazioni la comune difesa del territorio europeo.
Non si è capito poi quanto sia stato sullo sfondo una condivisa difesa dell’Occidente.
Assai emblematico mi sembra, a tal proposito, quanto ha scritto, ieri, su questo illustre giornale – che anche tu, cara Alice, leggi spesso – l’esimio opinionista Giorgio Merlo: “…Ecco perché, al di là delle chiacchiere e della propaganda dei soliti cantori del progressismo alto borghese nostrano, la strutturale rimozione del pensiero e della cultura democratico cristiana quando si parla di Europa continua ad essere un vulnus per chi si erge, per l’ennesima volta e del tutto arbitrariamente, a paladino e custode della nuova Europa contro gli oscurantisti, gli anti europeisti e i soliti ignoranti che non sarebbero moralmente titolati a costruire le “magnifiche sorti e progressive” del futuro. Insomma, “quando si parla di Europa e delle sue radici politiche e culturali, c’è ben altro rispetto a Serra, Littizzetto, Scurati, Augias, Vecchioni, Formigli, e la solita giostra. Una notizia nota, forse, alla stragrande maggioranza degli italiani che non erano, però, presenti al comizio di Piazza del Popolo…”.
Persino il candore ingenuo della mia amica Alice non ha fatto da argine alle incertezze plumbee di un orizzonte geopolitico, dove ancora le tante nebbie che non accennano a diradarsi non aiutano a sostenere quello slancio di speranza di un futuro europeo, e mondiale, di ritrovata convivenza pacifica, che, soprattutto tanti giovani non smettono di immaginare.
Colta da forte tormento, la nostra conversazione si è chiusa anzitempo. Mentre mi risuona ancora l’eco della sua angoscia: “Quale futuro sarà per i nostri figli?”.