Tanta gente in piazza per l’Europa. Con idee anche diverse, ma con una passione che accomuna: oltre i nazionalismi che generano conflitti sanguinosi, per una visione generosa del mondo. Come ha detto Michele Serra “In un mondo che sembra in frantumi, una piazza che unisce persone e idee diverse è uno scandalo. Questo scandalo ha un nome. Si chiama democrazia.”
Si è fatto molto riferimento al “Manifesto di Ventotene”, un documento per la promozione dell’unità politica europea scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi con aggiunte di Eugenio Colorni nel 1941 durante il periodo di confino presso l’isola di Ventotene. Giusto richiamare questo documento anticipatore, e tuttavia andrebbe letto e discusso nel merito, contenendo principi condivisibili, giudizi rivelatisi del tutto sbagliati, ricette inapplicabili, come è comprensibile che fosse per un documento scritto in condizioni di isolamento, nel 1941, tempo in cui sembrava invincibile il nazifascismo.
C’è tuttavia una singolare censura quando si celebra il processo di costruzione dell’edificio europeo. Il manifesto di Ventotene non avrebbe avuto alcun seguito se politici, statisti lungimiranti e coraggiosi, costruttori di una nuova opinione pubblica, non avessero avuto la forza politica, la fede nel sogno europeo nel compiere i primi passi di una reale unità europea. Il Consiglio d’Europa nel 1949, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio del 1952, poi il Trattato di Roma del 1957 che dette origine alla Comunità economica europea (CEE) e alla Comunità europea dell’energia atomica, sono dovuti a tre grandi politici cattolici, Alcide De Gasperi in Italia, Robert Schuman in Francia e Konrad Adenauer in Germania.
È comprensibile che nei momenti celebrativi si parli del Manifesto di Ventotene e si sia troppo evasivi sul seguito, perché si dovrebbe dire che la sinistra e il Pci in particolare, a causa del contesto geopolitico, furono contrari a questi passi sovranazionali e solo con Berlinguer ci fu una chiara e definitiva scelta europeista.
Ma non si potrebbe parlare dell’Europa politica se in quegli anni del difficile dopoguerra tre statisti, fortemente ispirati dal pensiero cattolico non avessero deciso di guardare avanti, con un’opera di coraggioso convincimento delle opinioni pubbliche. Ciò che è importante rilevare, anche di fronte alle scelte difficili del presente sulla missione dell’Europa, è che la scelta di questi tre grandi statisti non fu né facile, né scontata. La Francia aveva patito l’occupazione nazista, due guerre sanguinose nate anche per il controllo delle risorse minerarie, i nazisti erano stati nemici feroci, così per l’Italia con i paesi martoriati dai nazisti in ritirata, le difficili condizioni di pace, con De Gasperi chiamato a pagare il conto della guerra fascista e alleati vincitori esosi nel pretendere riparazioni di guerra. La Germania aveva subito non solo una gravissima sconfitta, ma si trovava divisa in due, con una pesante occupazione straniera. Non è che fosse così semplice convincere l’opinione pubblica della necessità di mettersi insieme.
Ognuno poteva avere i propri motivi per guardare solo in casa propria. Eppure ebbero coraggio e fede, convinti che solo per quella strada si sarebbe scongiurato il ripetersi di conflitti sanguinosi nel cuore dell’Europa. Certo non si fecero condizionare dalle opposizioni del Pci italiano e di quello francese, legati alla Russa sovietica, che usavano argomenti non dissimili da quelli che sentiamo echeggiare oggi a proposito della sicurezza europea cui è chiamata l’Europa di fronte ai risorgenti imperialismi e nazionalismi.
C’era una visione consapevole e ambiziosa. La figlia Maria Romana vide piangere suo padre Alcide quando nel 1954, ormai senza alcun ruolo politico attivo, comprese che non sarebbe nata la Comunità Europea di Difesa, complemento necessario di una Europa dei popoli. Questa era la fede politica che animava questi leader pensosi del futuro.
Come ebbe a dire il cancelliere tedesco Konrad Adenauer “l’Europa unita era un sogno di pochi, è stata una speranza per molti, oggi è una necessità per tutti”. Lo è ancora di più oggi.
P.s. A proposito delle necessarie qualità dei politici Adenauer dette in una intervista un singolare giudizio del suo successore Ludwig Erhard, economista di vaglia e abile oratore: “Era troppo stupido per la carica di cancelliere”; all’obiezione dell’intervistatore che forse il termine appropriato sarebbe stato “troppo apolitico” Adenauer replicò: “Per un leader politico, questo aggettivo è la definizione stessa di stupidità”.