Articolo pubblicato sulle pagine della rivista Treccani a firma di Ettore Siniscalchi

Dopo le elezioni del 28 aprile scorso, le amministrative e le europee di maggio hanno confermato la tendenza alla crescita del PSOE (Partido socialista obrero español) e il calo di UP (Unidas Podemos). I popolari sembravano destinati al declino, il loro leader Pablo Casado era considerato prossimo alla scomparsa politica, Ciudadanos si sentiva pronto per il sorpasso. Vox veniva ritenuta un fenomeno destinato a restare testimoniale e, malgrado l’Andalusia avesse dimostrato come il centrodestra non nutrisse preclusioni verso l’ultradestra, si riteneva ancora che PP (Partido popular) e C’s (Ciudadanos) in competizione per rappresentare il richiamo all’ordine mantenessero margini molto stretti per la formazione di Santiago Abascal. I sondaggi, nell’approssimarsi del periodo estivo, continuavano a gonfiare le vele al PSOE. È stato allora, probabilmente, che Pedro Sánchez e il suo consigliere politico Iván Redondo hanno cominciato a convincersi che una ripetizione del voto potesse consentire di migliorare le posizioni del PSOE, decidendo così di far naufragare una trattativa che già stavano portando avanti svogliatamente. Il 25 luglio, quando l’investitura di Sánchez è fallita, lo stato maggiore socialista aveva già tracciato la rotta per ritornare alle urne.

Ma il ritorno al voto non era ben visto da tutti nel PSOE, neanche nella cerchia dei segretari federali più vicini al segretario socialista. Miquel Iceta, dei socialisti catalani del PSC (Partit dels Socialistes de Catalunya), Ximo Puig, segretario dei socialisti valenziani e presidente dell’autonomia assieme alle sinistre di Compromís e Unidas Podemos, e Francina Armengol, presidente delle Isole Baleari e segretaria federale dei socialisti dell’arcipelago, hanno anche premuto pubblicamente per un accordo di governo con le sinistre e, più discretamente, hanno manifestato i loro timori per le conseguenze di un ritorno alle urne, sconsigliando di percorrerlo. La stampa ha riportato diversi passaggi della dialettica interna al PSOE, in particolare il quotidiano La Vanguardia che ha riferito anche del parere dell’ex segretario José Luis Rodríguez Zapatero, che aveva messo in guardia dal tentare una nuova «avventura» elettorale. Zapatero, tra gli esponenti della vecchia guardia socialista, è quello che più ha avuto accesso alle stanze della segreteria. Su mandato di Sánchez ha tenuto il dialogo ufficioso con Pablo Iglesias durante i tentativi per trovare un accordo per l’investitura e si dice che anche lui si sia sorpreso dell’irriducibilità del segretario. Nulla è andato come si immaginava, a partire dalle reazioni alle condanne degli indipendentisti catalani. Le proteste e le violenze, dei manifestanti e delle forze dell’ordine, hanno cambiato lo scenario. Anche l’esumazione della salma di Francisco Franco, che Sánchez aveva pensato come sigillo del suo rappresentare la Spagna democratica, è passata in secondo piano, percepita anzi come passerella nostalgica.

I risultati elettorali contraddicono la strategia di Pedro Sánchez. Il PP si consolida come secondo partito e alternativa al PSOE. Il crollo di Ciudadanos elimina una possibile strada di governo riducendo sostanzialmente a due le scelte per formare un esecutivo. Un accordo con UP, adesso ancor più dipendente dal gioco di astensioni benigne e voti a favore dalle file dei partiti nazionalisti baschi e di una parte almeno, Esquerra republicana de Catalunya, dell’indipendentismo catalano. Oppure un’operazione di “concertazione nazionale” col Partido popular.

La prima è un’impresa che pareva già molto difficile quattro mesi fa e ora appare quasi impossibile, la seconda costituirebbe una novità dalle conseguenze imprevedibili. Per quanto dal PSOE sia arrivato l’annuncio della riapertura del dialogo con UP, e già nel discorso alla folla della notte dei risultati Sánchez proponeva un governo progressista «guidato» dal PSOE, suggerendo quindi un esecutivo di coalizione, il cammino sembra ora più difficile, con l’auge delle destre e le tensioni fra gli indipendentisti catalani mai così alte. Eppure, quella coalizione negata qualche mese fa potrebbe essere per il segretario l’unica chance di non cadere nelle mani dei popolari, con Casado che potrebbe anche chiedere un suo passo indietro per consentire il varo di un esecutivo socialista, riaprendo spazi per le minoranze nelle lotte interne al PSOE.

La notte dei risultati la militanza gridava al segretario socialista «Con Iglesias sì, con Casado no!», conducendoci verso le incognite che un accordo coi popolari porterebbe con sé. Per quanto politica e media alzino la tensione, la questione catalana non viene vissuta come tale da giustificare la formazione di un fronte “costituzionalista”. Non avvenne col terrorismo basco, quando maggioranze e opposizioni fecero fronte comune con la politica dei Patti di Stato. Il mandato a Sánchez per un governo delle sinistre uscito dalle urne il 28 aprile era anche per riportare alla politica un conflitto da questa colpevolmente delegato alla giustizia.

Il bilancio del voto è quindi amaro, malgrado la vittoria, per il segretario socialista anche se non tanto quanto lo è per Albert Rivera, il leader di Ciudadanos, giunto alla fine della sua parabola.

Gli arancioni hanno subito un tracollo peggiore di quanto annunciato dai sondaggi, passando da 57 a 10 deputati. Per rincorrere il sorpasso sui popolari, Rivera ha spostato sempre più a destra il suo asse, perdendo i tratti moderati che gli avevano consentito di pescare voti sia nel bacino elettorale socialista, soprattutto all’inizio del cammino, che in quello popolare. Appoggiato dalla grande stampa madrilena e benvoluto in molti circoli politici ed economici, in Spagna come a Bruxelles, Rivera era visto come la possibile alternativa “macroniana” al vecchio e corrotto sistema di potere del PP. Aver dilapidato questo capitale lo ha portato alle dimissioni e all’annuncio del ritiro dalla scena politica. Cosa sarà ora di Ciudadanos è tutto da vedere, a partire da come si muoverà Manuel Valls. L’ex capo del governo francese, presentato dagli arancioni come candidato sindaco indipendente a Barcellona, è entrato in rotta di collisione con Rivera sulla formazione della giunta barcellonese, deciso ad appoggiare con due transfughi l’investitura di Ada Colau, e sugli accordi con Vox, e potrebbe essere perno del tentativo di ricostruire un’offerta con ancora degli spazi elettorali.

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