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lunedì, Aprile 21, 2025
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Pace e immigrazione, due grandi battaglie di Papa Francesco

Roma, 21 apr. (askanews) – Non c’è dubbio che il pontificato di Papa Francesco sarà ricordato anche per due grandi battaglie (accanto a quella per l’ambiente e la cura del creato): la pace e l’accoglienza dei migranti che a rischio della vita continuano a cercare possibili vie di fuga da fame e conflitti. Due battaglia che spesso hanno rappresentato per il “Papa venuto da lontano” altrettante spine.

Il conflitto in Ucraina prima e il riesplodere della guerra israelo-palestinese in medio Oriente poi, con i tentativi anche diplomatici per porvi rimedio, lo scontro sotto-traccia contro gli imperialismi, che ancora dominano il mondo ha fatto da sfondo a moltissimi dei suoi interventi dallo scoppio del conflitto prima in Europa e poi in M.O. con una costante denuncia dell’industria bellica e di quanti si arricchiscono costruendo armi sempre più sofisticate e, quindi, costose. Spese miliardarie, ha sempre ricordato Papa Bergoglio, che se impiegate per il bene delle popolazioni mondiali avrebbero risolto quasi del tutto problemi legati a fame e malattie.

Non che prima, Francesco non si fosse esposto in favore di una politica che finalmente ponesse fine alla logica dei conflitti come risoluzione delle dispute internazionali, denunciando con forza, appunto, i mercanti di morte e l’inerzia delle organizzazioni internazionali, prima fra tutte l’Onu, in difesa delle popolazioni civili, ormai le prime vittime degli interessi espansionistici dei nuovi imperi. Interventi in questo senso si sono susseguiti quasi senza sosta, nei discorsi al Corpo diplomatico e nei consessi internazionali, per chiedere un rilancio del peso e del senso stesso delle istituzioni internazionali, prima fra tutte le Nazioni Unite. In un messaggio del 2017 per la sessione Onu sulla non proliferazione delle armi nucleari, il Papa affermava che la stessa Carta delle Nazioni Unite indica quali sono “le fondamenta della costruzione giuridica internazionale: la pace, la soluzione pacifica delle controversie e lo sviluppo delle relazioni amichevoli tra le nazioni. Un’etica e un diritto basati sulla minaccia della distruzione reciproca – e potenzialmente di tutta l’umanità – sono contraddittori con lo spirito stesso delle Nazioni Unite”, osservava.

“Il compito delle Nazioni Unite, a partire dai postulati del Preambolo e dei primi articoli della sua Carta costituzionale, può essere visto come lo sviluppo e la promozione della sovranità del diritto, sapendo che la giustizia è requisito indispensabile per realizzare l’ideale della fraternità universale. In questo contesto, è opportuno ricordare che la limitazione del potere è un’idea implicita nel concetto di diritto”, ha, invece, ricordato Papa Francesco nel 2015 nel corso del suo discorso al Palazzo di vetro di New York.

“Dare a ciascuno il suo, secondo la definizione classica di giustizia, significa che nessun individuo o gruppo umano si può considerare onnipotente, autorizzato a calpestare la dignità e i diritti delle altre persone singole o dei gruppi sociali. – ha spiegato il Papa la sua posizione in quell’importante consesso internazionale – La distribuzione di fatto del potere (politico, economico, militare, tecnologico, ecc.) tra una pluralità di soggetti e la creazione di un sistema giuridico di regolamentazione delle rivendicazioni e degli interessi, realizza la limitazione del potere”. Parole che sono poi risuonate come profetiche negli anni successivi.

Una pace, quindi, che Francesco ha sempre legato (come i suoi predecessori) a questioni sociali e di giustizia internazionale che hanno negli ultimi decenni trovato una evidente valvola di sfogo nell’immigrazione. Un tema subito chiaro a Jorge Mario Bergoglio se si pensa che uno dei suoi primi viaggi è stato a Lampedusa in quell’isola di dolore ma anche di ospitalità. In quell’occasione i gesti parlarono più delle parole con la deposizione in mare di una corona di fiori nel ricordo delle tante vittime nel Mediterraneo.

Di migranti, Francesco ne ha parlato così tanto che sarebbe quasi impossibile farne una casistica. Ci limitiamo, per tutte, a citare la sua lettera inviata al Centro Astalli di Roma, gestito dai suoi confratelli Gesuiti, il 14 novembre del 2021 quando ha ricordato che “il numero delle persone costrette a fuggire dalla propria terra è in continua crescita”. Rivolgendosi poi agli ospiti (per lo più rifugiati e richiedenti asilo) del Centro, Francesco ha ricordato i motivi della loro fuga dettata da “condizioni di vita assimilabili a quelle della schiavitù”, quando non provocate “da terribili e spregevoli guerre”.

“Purtroppo il mettersi in cammino non ha costituito in molti casi una vera liberazione – è stata la sua triste considerazione – purtroppo spesso vi siete scontrati con un deserto di umanità, con l’indifferenza che si è fatta globale e che inaridisce le relazioni tra gli uomini. La storia di questi ultimi decenni ha dato segni di un ritorno al passato…”.